Le bombe a Roma, Milano e Firenze, più quella (fortunatamente non esplosa) preparata per fare strage di carabinieri durante una partita di calcio allo stadio Olimpico: ci sono le stragi mafiose che hanno insanguinato l’Italia nel periodo tra la fine del ’93 e l’inizio del ’94 nel mirino della distrettuale antimafia di Firenze che ha iscritto nel registro degli indagati l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri.

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Già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa (e beneficiario di un lascito testamentale di 30 milioni di euro da parte di Berlusconi stesso) l’ex Senatore di Forza Italia è indagato dalla procura toscana che lo accusa di avere istigato il boss Giuseppe Graviano «ad organizzare e attuare la campagna stragista e, comunque, a proseguirla, al fine di contribuire a creare le condizioni per l’affermazione di Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi, al quale ha fattivamente contribuito Dell’Utri, nel quadro di un accordo, consistito nello scambio tra l’effettuazione, prima da parte di Cosa Nostra, di stragi, e poi, a seguito del favorevole risultato elettorale ottenuto da Berlusconi, a fronte della promessa di Dell’Utri – scrive Repubblica nell’edizione odierna riferendo delle perquisizioni a casa e in ufficio all’ex europarlamentare –  che era il tramite di Berlusconi, di indirizzare la politica legislativa del Governo verso provvedimenti favorevoli a Cosa Nostra in tema di trattamento carcerario, collaboratori di giustizia e sequestro di patrimoni, ricevendo altresì da Cosa Nostra l’appoggio elettorale in occasione delle elezioni politiche del marzo del 1994». 

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Ipotesi che fanno il paio con quelle del processo ‘ndrangheta stragista istruito dalla distrettuale antimafia dello Stretto che ha visto, in Appello, la conferma dell’ergastolo per lo stesso Giuseppe Graviano e per il boss calabrese espressione dei Piromalli, Rocco Santo Filippone, accusati, scrivevano i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado, di avere agito alla ricerca di «nuovi e più affidabili referenti politici disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neo partito di Forza Italia di Silvio Berlusconi». 

E se l’ultimo attentato individuato dagli inquirenti fiorentini nell’ottica del presunto accordo politico mafioso tra Dell’Utri (e quindi Forza Italia) e Graviano si riferisce alla bomba (inesplosa) che avrebbe dovuto fare saltare in aria un autobus zeppo di carabinieri in servizio allo stadio Olimpico, il processo calabrese individua altri attentati che vedevano sempre i carabinieri nel mirino delle cosche di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta che, nell’occasione, avrebbero stretto un patto criminale per tracciare il solco attraverso cui l’ex cavaliere avrebbe poi vinto le elezioni politiche del marzo del ’94. Un presunto patto che, in Calabria, è costato la vita ai carabinieri Fava e Garofalo, uccisi da un commando armato a due passi dallo svincolo autostradale di Scilla il 18 gennaio del 1994, 5 giorni primi del mancato attentato allo stadio romano. E che è costato il ferimento di altri due carabinieri, Serra e Musticò, colpiti da un commando che, con le stese armi utilizzate per l’agguato sull’A3, sparò nel quartiere di Ravagnese il primo febbraio dello stesso anno. 

Agguati, scrivevano i giudici reggini «dietro cui non vi sono solo le organizzazioni criminali, ma anche tutta una serie di soggetti provenienti da differenti contesti (politici, massonici, servizi segreti), che hanno agito al fine di destabilizzare lo Stato per ottenere anche essi vantaggi di vario genere, approfittando anche di un momento di crisi dei partiti tradizionali».