Anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia hanno contribuito a riaprire a 40 anni di distanza il caso rimasto irrisolto: «Ho saputo che i responsabili sono stati poi assolti pur essendo colpevoli»
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È sicuramente la strage più efferata nella storia criminale del Vibonese e per la quale – a distanza di poco meno di quaranta anni – nessuno ha ancora pagato i conti con la giustizia. Una strage riletta dagli investigatori soprattutto negli enormi faldoni di cui è composta la poderosa inchiesta “Rinascita-Scott” che alla strage di Pizzinni – costata il 24 ottobre 1982 la vita a due bambini innocenti: Bartolo Pesce di 14 anni e Antonio Pesce di soli 10 anni – dedica un apposito capitolo. Nella strage altre quattro persone rimasero all’epoca ferite e nei processi celebrati negli anni ’80 per tale fatto di sangue, tutti gli imputati sono stati assolti. Il sospetto – rimasto sinora tale in assenza di verità giudiziarie – è che i Mancuso di Limbadi avessero ordinato di collocare una bomba sotto la finestra dei fratelli Soriano, già all’epoca ritenuti ingestibili dagli altri clan e quindi da eliminare. L’ordigno esplosivo venne però collocato sotto la finestra sbagliata provocando la morte di due bambini innocenti.
La strage di Pizzinni
Dietro la riapertura delle indagini da parte della Dda di Catanzaro e dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, ci sono sicuramente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, che in interrogatorio dell’8 settembre 2016 ha spiegato: «Con riferimento alla zona di Filandari ricordo l’episodio che ha coinvolto due bambini rimasti uccisi. Questa cosa – ha dichiarato Mantella – l’ho saputa dagli altri soggetti appartenenti al mio clan e dallo stesso mio capo Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni. Io sapevo che la bomba era stata collocata da Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja”, e da Nazzareno Pugliese di San Costantino Calabro per colpire alcuni soggetti della famiglia Soriano. Invece rimasero uccisi due bambini. La cosa mi è stata raccontata nel carcere di Catanzaro-Siano, al terzo piano, lato destro, da Leone Soriano, il quale ammise di aver commesso la leggerezza di fare confidenze alle forze dell’ordine su quanto accaduto. Mi disse che effettivamente erano responsabili i due, Peppe Mancuso e Nazzareno Pugliese, cosa che io già sapevo, e mi disse anche che i Soriano davano la caccia a Nazzareno Pugliese, che si era chiuso in casa per non essere ucciso e questo avveniva fino almeno al 2004. Ho saputo – aggiunge Mantella – che i responsabili sono stati poi assolti pur essendo colpevoli. Non so dire se in questa vicenda sia coinvolto il collaboratore Servello».
L’ordigno
L’ordigno esplosivo usato per la strage di Pizzinni era composto da un tubo di ferro contenente circa 700/800 grammi di gelatina esplosiva collocato in un’abitazione attigua a quella di Giuseppe Soriano (cl.’35), padre dei fratelli Carmelo, Leone, Gaetano, Domenico, Roberto, Alessandro e Francesco Soriano. «Gli autori del reato non ottennero il risultato da loro voluto, ovvero l’uccisione dei membri del clan Soriano – hanno scritto gli inquirenti negli atti dell’inchiesta Rinascita-Scott – causando invece la morte dei fratelli Pesce, due innocenti dimoranti proprio nei pressi di quell’abitazione». La ricostruzione della dinamica della strage ha già permesso di accertare che la bomba, di devastante potenza, era stata erroneamente collocata dai criminali all’esterno dell’abitazione di Cichello Maria Rosa, sita al civico 8 di via Deodato, attigua a quella dei Soriano, residenti nell’immobile del civico numero 4, subito individuati quali destinatari dell’attentato.
Le dichiarazioni di Leone Soriano
Le risultanze investigative dell’epoca – private del fondamentale apporto collaborativo di Angiolino Servello che nel 2005 si è autoaccusato della strage rivelandone retroscena e movente (anche lui concorde nell’indicare i Mancuso quali mandanti della bomba contro i Soriano) – si fondarono sulle dichiarazioni di Leone Soriano, il quale (come ricordano gli investigatori dell’operazione “Rinascita”) indicò «quali responsabili i pregiudicati Mondella Francescoantonio di Francica e Vinci Michele di San Gregorio, riconducendo il movente del grave delitto ad una serie di ripetuti contrasti sorti precedentemente con i predetti, che lo avevano accusato, a suo dire ingiustamente, di alcuni furti. In quelle dichiarazioni, Leone Soriano precisò che i rapporti con i due (Vinci e Mondella) si erano definitivamente deteriorati a causa di un episodio avvenuto nello stesso mese a San Gregorio d’Ippona, dove Soriano Carmelo, fratello di Leone, fu aggredito da Mondella, da Vinci e da altri individui (identificati successivamente in Pugliese Nazzareno e Razionale Saverio) al fine di indurlo a confessare alcuni furti commessi dagli appartenenti alla sua famiglia. Il movente della strage, ricompreso nella misura cautelare dell’epoca, individuò nella “competenza territoriale” criminale e nello sconfinamento senza autorizzazione operato dai Soriano la motivazione posta alla base del collocamento dell’ordigno esplosivo».
Pino Scriva e le assoluzioni
Le indagini dell’epoca si conclusero con l’individuazione dei presunti responsabili della strage di Pizzinni in Michele Vinci, Francesco Antonio Mondella e Nazzareno Pugliese, nonché successivamente, di Giuseppe e Luigi Mancuso, indicati quali mandanti. Il provvedimento restrittivo venne supportato anche dalle dichiarazioni rese da Pino Scriva di Rosarno (primo collaboratore di giustizia della ‘ndrangheta negli anni ‘80) il quale coinvolse nei fatti anche la “famiglia” Accorinti di Zungri, evidenziando come gli stessi fossero stati messi a conoscenza della pianificazione dell’attentato condividendo con i mandanti i sentimenti di astio nei confronti dei Soriano. In sede giudiziaria, però, il processo per la strage di Pizzinni non ha retto e si è registrata l’assoluzione per tutti gli imputati dell’epoca.
Le dichiarazioni di Andrea Mantella, unite a quelle di Angiolino Servello, ma anche le dichiarazioni rese il 12 maggio 2011 da Bruno Fuduli (ex infiltrato dei Ros nell’operazione “Decollo” contro il narcotraffico internazionale e che il 18 novembre scorso si è tolto la vita) – che ha pure lui indicato il medesimo movente ricordando le confidenze che gli fece sul caso il broker della cocaina, Vincenzo Barbieri (ucciso nel 2011 a San Calogero) – potrebbero ora fornire la svolta nella riapertura del caso.