«Verità e giustizia» gridano sotto la pioggia battente dal corteo organizzato dalla “Rete 26 febbraio” in ricordo dei morti del naufragio della Summer Love. La stessa verità e la stessa giustizia che a un anno dalla tragedia di Steccato non si riesce ancora a raggiungere. Ci sono i sopravvissuti e i parenti delle vittime a sfilare per le vie di Crotone, oltre alle associazioni, che da un anno tengono alta l’attenzione su quanto successo, e ai tanti semplici cittadini che, sfidando l’acquazzone, non hanno fatto mancare la loro presenza.

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Anche don Francesco, parroco in un paese del circondario, ha voluto partecipare alla manifestazione: «Siamo calabresi, sappiamo benissimo cosa significa lasciare la propria terra. E questa nostra condizione di migranti ci fa capire che al mondo, nessuno deve essere considerato uno straniero».

Un corteo ordinato e pacifico che ha attraversato la città sostando per qualche minuto in due tappe simbolo di questa vicende tremenda: il Palazzo di giustizia dove si sta celebrando il processo ai 3 scafisti accusati di avere pilotato lungo il mediterraneo quel caicco fradicio e pieno all’inverosimile di uomini, donne e bambini, e il PalaMilone, il palazzetto dello sport trasformato per giorni in camera mortuaria e sede del pellegrinaggio dei parenti delle vittime, arrivati in città da tutta Europa dopo che la notizia della tragedia era rimbalzata sui media di mezzo pianeta. Due soste brevi, prima dell’arrivo all’auditorium del museo dove gli organizzatori hanno provato a fare il punto sullo stato delle cose e dove, tra la commozione, alcuni dei parenti dei morti hanno raccontato la loro esperienza.

«Italia e Germania non hanno rispettato le promesse fatte - racconta un testimone con l’aiuto dell’interprete – né per quanto riguarda i ricongiungimenti familiari, né sul piano dell’integrazione. Molti di noi hanno cambiato molte volte sistemazione e 28 sopravvissuti che si sono trasferiti in Germania vivono ancora nei campi. Non possiamo continuare così».

Attivisti, migranti, marinai, sopravvissuti, medici: in tanti si alternano dal palco facendo rimbalzare anche qui le richieste di verità giustizia. «Ci dicono che veniamo per motivi economici- ricorda una ragazza afgana al microfono – ma la verità è che vivere in Afganistan è impossibile se sei una donna. Non possiamo andare a scuola, né guidare un auto né fare niente di quello che nel resto del mondo viene dato per scontato».

Ramzi Labidi, responsabile dell'associazione Sabir e mediatore culturale, ha marciato con gli altri partecipanti al corteo e chiede giustizia e rispetto per i migranti. I suoi toni, da sempre pacati, si alzano. Nel corso della diretta del network LaC ricorda che sono state «tante le promesse non mantenute». «Tanti hanno rischiato la vita e sono morti: oggi siamo qui per chiedere risposte e giustizia al governo italiano». Labidi torna a quella notte tragica e accusa: «Tutti conoscevano le condizioni meteorologiche e nessuno è intervenuto per salvarli». Anche nei giorni scorsi si sono verificati comportamenti che non ritiene accettabili: «Volevano portare via i corpi dal PalaMilone senza restituirli alle famiglie, è una vergogna. Ancora oggi ci sono cinque corpi non riconosciuti al cimitero di Cutro e il cadavere di una bambina a Cosenza: bisogna fare le comparazioni e restituire le salme ai familiari».