VIDEO | Dieci vittime, una tragedia immane. A Castrovillari incardinato il processo. Per accertare le responsabilità – ha spiegato il giudice che ha rinviato a giudizio una parte degli imputati – bisogna però indagare ancora (ASCOLTA L'AUDIO)
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La piena del torrente, la morte nelle gole. Dieci vittime, una tragedia immane. Sono trascorsi tre anni dalla strage di Civita, uno tra i borghi più belli d’Italia, che divenne luogo di atroce mestizia. «Anche io chiedo giustizia», disse il sindaco del borgo del Pollino, Alessandro Tocci, all’epilogo dell’udienza preliminare che lo scorso aprile decretò il rinvio a giudizio suo e dei colleghi di San Lorenzo Bellizzi e Francavilla Marittima, anche se per una sola imputazione di omissione d’atti d’ufficio. A processo anche i titolari di due agenzie turistiche. Subito prosciolti, invece, per residuali contestazioni, ulteriori nove imputati. «Un procedimento molto triste», lo definì il gup di Castrovillari Biagio Politano che invitò la Procura a ricercare ulteriori profili di responsabilità per una strage. Come dire: la verità sulla tragedia, è tutta da scrivere.
Le dieci vittime
Spirarono, travolti dalla furia del Raganello, dieci escursionisti: Antonio Santapaola e Carmen Tammaro, ovvero genitori della piccola Chiara, la bimba salvata dagli uomini del Soccorso alpino, divenuta il simbolo di una strage che si poteva e doveva evitare. Persero la vita anche le amiche inseparabili Myriam Mezzolla e Claudia Giampiero, l'immunologa bergamasca Paola Romagnoli, l'agente di polizia penitenziaria Gianfranco Fumarola, lo street artist romano Carlo Maurici e la sua fidanzata Valentina Venditti, l’avvocato di Giugliano Imma Marrazzo, infine Antonio De Rasis, la guida del gruppo, originaria Cerchiara, che riuscì a mettere in salvo diversi escursionisti del suo gruppo, non tutti e non se stesso.
La pioggia, la furia del torrente e la tragedia
C’era bel tempo, quel giorno su Civita, e l’allerta gialla, diramata dalla Protezione civile che temeva forti precipitazioni, fu sottovalutata e ignorata. Sulle montagne che sovrastano il canyon del Raganello iniziò a piovere violentemente. Uno sbarramento a monte, provocato tronchi d’albero, massi e detriti, probabilmente generò una diga naturale che potrebbe aver aggregato una massa impressionante d’acqua. Ceduta la diga, un fiume impetuoso scatenò la sua furia nelle gole, sugli escursionisti. E la strage fu inevitabile. I soccorsi durarono fino tarda sera. Dieci bare affollarono così la palestra della scuola di Civita, che sin da subito fu assediata dagli inviati della stampa nazionale. Il dolore, la commozione immensa, la visita del ministro dell’Ambiente Sergio Costa sui luoghi della tragedia, gli struggenti funerali delle vittime, l’inevitabile inchiesta giudiziaria, che portò al sequestro delle gole del Raganello e al processo incardinatosi davanti al Tribunale di Castrovillari lo scorso 15 giugno.
Restano gli interrogativi sulle responsabilità della tragedia. Resta il ricordo, indelebile, di una strage che ha cambiato per sempre la storia di uno dei luoghi più affascinanti della Calabria, meta di migliaia di visitatori ogni anno. E che, soprattutto, ha spezzato famiglie, vite, sogni e speranze spente da una piena assassina.