Gli ultimi arresti eseguiti in città immortalano lo smercio di cocaina a uso “festaiolo”, ma l’inchiesta racconta anche le vicissitudini dei piccoli pusher con le loro vite costantemente in bilico
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Cocaina a uso festaiolo, ceduta davanti ai locali di Cosenza a una clientela in prevalenza femminile. È il tema principale dell’indagine che, ieri, ha determinato l’arresto di cinque persone per spaccio di sostanze stupefacenti, ma non è il solo. Oltre a uno spaccato di costume, infatti, la vicenda punta i riflettori sull’ambiente sordido in cui si muovono i pusher cosentini, sulle loro vite costantemente in bilico e sulle conseguenze nefaste che, spesso e volentieri, si ripercuotono sulle loro famiglie.
Personaggio centrale dell’inchiesta è Domenico Cicero detto “Mimmolino”, 41 anni, nipote omonimo dello storico boss da tempo ergastolano. Un’affinità che, come vedremo, non lo metterà al riparo dalle insidie del mestiere. I guai per lui cominciano il 31 ottobre del 2022, quando finisce ai domiciliari per sedici grammi di cocaina e cinquantotto di hashish che i carabinieri gli trovano in casa durante una perquisizione. Per lui è un bel problema. A Cosenza, infatti, nessuna attenuante è riconosciuta a chi si vede sequestrare la droga dalle forze dell’ordine. La dura legge del “Sistema” impone che sia lui stesso a ripagare l’organizzazione con l’equivalente in denaro. Una regola che vale per tutti i pusher e che, a quanto pare, non fa eccezione per quelli dal nome altisonante.
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Nel suo caso, poi, il “buco” da coprire non riguarda solo il piccolo carico perduto, ma ammonta a più di cinquantamila euro. Soldi che deve restituire nell’immediatezza. E così, per racimolare quella somma chiede aiuto a una zia che, seppur estranea ai circuiti criminali, si immola nel timore che qualcuno possa «ammazzare il nipote». Le intercettazioni disposte sull’utenza di Cicero rivelano l’identità del suo creditore: è Bruno Bartolomeo, già coinvolto nell’inchiesta “Recovery” e in quella su droga e telefonini fatti entrare nel carcere di Catanzaro.
Agli atti ci sono alcune telefonate in cui Bartolomeo tratta con Cicero la restituzione del denaro. Quelle ritenute più esplicite coinvolgono sua moglie Immacolata Erra, non indagata nell’attuale procedimento. «Mimmù – gli dice in un’occasione la donna – vedi che te lo dico: io domani faccio un bordello, Mimmù, che io non sono Bruno». E non solo. Da un’altra captazione, gli investigatori traggono elementi per ipotizzare che Bartolomeo sia solo un elemento intermedio della catena, che lui stesso debba rendere conto a persone più alte in grado. «Perché a me i cristiani mi stanno chiamando. Eh a tetella, mi chiamano di sotto, mi chiamano di sopra, dimmi tu come devo comportarmi».
Cane mangia cane, insomma. Una spirale perversa in cui, già in passato, come raccontano altre indagini, sono rimasti stritolati tanti piccoli spacciatori. E che adesso rischia di stritolare anche lui. Non accadrà, perché l’intervento della zia si rivela decisivo. Gli investigatori documentano tutti i sacrifici compiuti dalla donna che attinge ai risparmi di una vita, s’impelaga con le finanziarie, e alla fine riesce ad appianare i debiti del nipote. È il primo tempo dell’inchiesta. Il secondo, invece, cristallizza un sospetto: che dopo aver risolto i suoi problemi debitori, Cicero abbia ripreso a spacciare.
Sempre le intercettazioni, infatti, documentano le cessioni di droga da lui effettuate davanti ai locali di Santa Teresa o ai bar di corso Mazzini, previo appuntamento telefonico con i consumatori. Piccole dosi, da pochi decigrammi l’una, che avrebbe smerciato in tandem con Francesco Benvenuto alias “Cavallo”. I carabinieri ci vanno a nozze: uno alla volta, fermano i clienti che hanno appena acquistato la roba, gliela sequestrano e li portano in caserma per interrogarli. Nessuno riuscirà a negare l’evidenza, faranno tutti il nome dello spacciatore che ha venduto loro la polvere bianca.
Le captazioni a strascico, però, consentono all’inchiesta di raggiungere un terzo livello. Chiuso il discorso con Bartolomeo, infatti, Cicero avrebbe cambiato fornitori. A tal proposito, alcune telefonate con Antonio Caputo – un altro volto noto di “Recovery” – portano a ipotizzare che sia lui il suo nuovo fornitore di cocaina. Un sospetto analogo che, in tema di erba e hashish, finisce per ricadere su Vincenzo Chiappetta, tant’è che proprio a quest’ultimo, nel pieno delle indagini, i carabinieri finiranno per sequestrare ben cinque chili di hashish.