Sono dieci complessivamente le persone tratte in arresto, tutte reggine, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla produzione e al traffico di droga e di illecita detenzione, spaccio e produzione di sostanze stupefacenti. L’operazione condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha permesso di smantellare un’intera organizzazione criminale dedita a reati inerenti agli stupefacenti.

Gli arrestati

In particolare, la misura cautelare in carcere è stata emessa nei confronti di Domenico Di Grande (detto “Mimmone”), cl’ 59; Valentino Buzzan, cl’ 60; Roberto Bevilacqua, cl’ 84; Giuseppe Simone, cl’ 74; Domenico Genoese Zerbi (detto “Nico”), cl’ 71; Fabio Puglisi, cl’ 79; Carmelo Tommasini, cl’ 87; Fedele Zaminga, cl’ 76; Sebastiano Trunfio, cl’ 82.

Arresti domiciliari invece nei confronti di Carmelo Gatto, cl’ 89.

Spacciatori col Pollice verde

Nel dettaglio, le persone tratte in arresto appartenevano a un’associazione a delinquere stabilmente organizzata, operante nella zona centro-sud della città – prevalentemente nei quartieri di Pellaro, San Cristoforo e centro città – capeggiata da Di Grande e da Buzzan, avente nella propria disponibilità ben tre siti nei quali veniva coltivata marijuana un’abitazione con annesso giardino nel quartiere di San Cristoforo, nonché altri due terreni in un agro nella zona sud della città –, prodotta con metodologie tecnologicamente avanzate, tese a garantire un’eccellente qualità dello stupefacente coltivato.

Durante le indagini sono state infatti scoperte oltre 200 piante di cannabis, dalle quali l’organizzazione avrebbe potuto ricavare diverse migliaia di dosi di marijuana da distribuire direttamente alla minuta vendita sulle piazze di spaccio cittadino.

In questo senso, non è casuale il nome attribuito all’odierna operazione, Pollice Verde, assegnato con particolare riferimento, appunto, alla maniacale dedizione posta in essere dai criminali arrestati alla produzione in house dello stupefacente, con relativo peculiare know how che, di fatto, sbaragliava la concorrenza e garantiva elevati profitti.

Nei medesimi siti di coltivazione, è stato, infatti, rilevato che la sostanza stupefacente venisse abilmente curata, annaffiata, raccolta, fatta essiccare e confezionata, per poi essere distribuita direttamente al consumo tramite una rete di pusher intranei, tutti stabilmente partecipi all’associazione: in buona sostanza, si trattava di un vero e proprio business “a km 0”.

Le indagini

Le scrupolose e complesse attività di investigazione condotte dai militari operanti della Compagnia della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, sapientemente articolate attraverso un sistema operativo integrato di dedicate indagini tecniche, di numerosissime attività di appostamento, pedinamento e osservazione, di svariati controlli e perquisizioni, nonché di diversi sequestri e riscontri investigativi, consentivano di raccogliere elementi di prova schiaccianti a carico di tutti i membri del sodalizio criminale scardinato, a partire dalle figure apicali dell’intera organizzazione criminale.

In termini prettamente più economici, possedendo e gestendo direttamente la produzione attraverso la coltivazione dello stupefacente ed evitando così di limitarsi a spacciare sostanza stupefacente acquistata da altri, l’associazione criminale smantellata otteneva profitti più elevati rispetto ad altre omologhe organizzazioni, riuscendo, al contempo, a essere di gran lunga più concorrenziale, sia in termini di qualità, sia in termini di prezzo.

Da un lato, infatti, l’organizzazione riduceva sensibilmente i costi di produzione e i rischi “d’impresa” connessi all’acquisto di partite di droga da altri soggetti, dall’altro, producendo con zelo e cura lo stupefacente, riusciva a garantire al proprio fitto giro di clienti una qualità del prodotto di gran lunga superiore alla media.

L'organizzazione criminale

L’organizzazione criminale scardinata aveva una tipica struttura piramidale, con ruoli interni ben definiti: Di Grande e da Buzzan, capeggiatori dell’associazione, effettivi promotori e dirigenti dell’associazione a delinquere, oltre a sovrintendere ai lavori di coltivazione delle numerose piante di cannabis, si adoperavano per la ricerca dei terreni e degli altri spazi su cui avviare i lavori di produzione dello stupefacente in house; tenevano i contatti tra tutti i membri dell’organizzazione; cedevano, personalmente, la marijuana prodotta a una selezionata clientela o ai vari pusher appartenenti gruppo criminale e incaricati della vendita al minuto della droga.

Gli altri membri dell’organizzazione si occupavano, invero, prevalentemente di: cedere la marijuana al dettaglio; procurare all’associazione nuovi clienti; fare da intermediari tra i capi dell’associazione e altri soggetti nelle cessioni di stupefacente caratterizzate da un valore particolarmente elevato; coadiuvare i propri “superiori” nella materiale attività di coltivazione e cura delle piante di cannabis.