Sono trascorsi 20 lunghi anni da quella terribile notte. Una notte di acqua, fango e morte. La notte della tragedia al camping Le Giare di Soverato, in località Turrati. La pagina più triste della storia della città ionica che ha lasciato ferite profonde, ancora aperte, ancora dolorose. E ogni anno, in quello stesso luogo, ci si ritrova per ricordare le 13 vittime di una tragedia che probabilmente si poteva evitare: Mario Boccalone, Ida Fabiano, Serafina Fabiano, Raffaele Gabriele, Paola Lanfranco, Iolanda Mancuso, Giuseppina Marsico, Franca Morelli, Rosario Russo, Antonio Sicilia, Salvatore Simone, Concetta Zinzi, Vinicio Caliò, il corpo di quest’ultimo non venne mai ritrovato.

La testimonianza della volontaria Maria

Le forti piogge e lo straripamento del torrente Beltrame trasformarono il campo estivo dell’Unitalsi in tragedia. Volontari e disabili furono travolti dalla furia dell’acqua, sommersi dal fango. Scene atroci che ogni anno rivivono nella mente dei familiari delle vittime, negli occhi di chi era presente e non riesce a farsene una ragione come racconta commossa Maria Cartolano, dama dell’Unitalsi sopravvissuta alla tragedia: «In quell’occasione sostituivo la nostra presidente che non era presente. Non potrò mai dimenticare il boato di quella notte, un boato enorme, dopodichè acqua dappertutto, arrivava fin sotto la gola, e non si è capito più niente. Era tutto buio, non riuscivamo a vedere quello che stava accadendo. I rumori erano assordanti, solo dopo ci siamo resi conto che erano i rumori delle macchine, delle roulotte, delle lavatrici. L’acqua si portava dietro tutto e noi sentivamo solo il rumore. Eravamo immersi nell’acqua fino a quando non siamo riusciti a salire sul tetto dei bungalow. In più le grida delle dame, dei barellieri che cercavano di aiutare gli altri, ci chiamavamo per nome fra di noi per sapere chi rispondeva e chi no. Una cosa atroce che anche se sono passati 20 anni è come se fosse successa ieri, non si riesce a dimenticare».

Una ferita che brucia ancora

Solo una volta arrivata in ospedale Maria si rese conto che c’erano state delle vittime: «Quando ha iniziato ad albeggiare da sopra abbiamo visto il disastro e lì abbiamo capito che c’erano dei morti però non sapevamo chi. Si vedeva solo acqua e fango. Una volta arrivati in ospedale, quando ci hanno salvato, abbiamo iniziato a fare l’elenco di chi era lì e di chi purtroppo non c’era più. È una ferita che non andrà mai via. Ci sono tanti di quegli episodi che non si riesce a dimenticare. Magari si prova a tenere alcuni pensieri nel dimenticatoio ma quando se ne parla, se si torna in questo luogo,  tutto riaffiora alla mente. Non è possibile dimenticare. E allora ti domandi: “Signore, perché io si e lui no?”. Penso spesso al figlio di una nostra disabile che è riuscito a mettere in salvo i genitori sulla trave e poi è andato ad aiutare gli altri. Uscendo è stato colpito da qualcosa ed è morto. E allora mi chiedo “perché io mi sono salvata e quel ragazzo di 17 anni no?” Sono i misteri della vita».

La commemorazione

In occasione dei 20 anni da quella tragica notte, l’Unitalsi di Catanzaro ha organizzato una funzione solenne celebrata dall’arcivescovo metropolita di Catanzaro Squillace mons. Vincenzo Bertolone che ha richiamato la necessità di rispettare e salvaguardare l’ambiente per evitare che tragedie del genere possano ripetersi: «Questa è anche l’occasione per chiedere giustizia – ha aggiunto il presule – che è qualcosa di doveroso per le vittime. Oggi non dobbiamo solo ricordare i defunti ma anche esprimere la nostra vicinanza ai parenti, agli amici delle vittime e rivolgere un invito a tutti noi: curare l’ambiente e volerci rispettare di più». Presenti alla cerimonia il sindaco della città di Soverato Ernesto Alecci, numerosi sindaci del comprensorio, autorità militari, associazioni di volontariato, il presidente del consiglio regionale Mimmo Tallini, il capo della Protezione Civile regionale Fortunato Varone, la senatrice Silvia Vono e i familiari delle vittime. Tra questi anche Simona Miriello, figlia della volontaria Franca Morelli, e Maria Gloria Simone, figlia di Salvatore Simone, volontario dell’Unitalsi morto per salvare un disabile, che ha voluto donare all’amministrazione comunale di Soverato un defibrillatore: «Dopo 20 anni ancora è dura – dice con gli occhi pieni di lacrime -. Si rivivono quei momenti, quelle emozioni. Purtroppo non ce l’hanno fatta né mio padre il ragazzo che voleva salvare. Mio padre era riuscito a salire su un albero con questo ragazzo ma un’ondata li ha travolti».