La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro aveva confermato l’assoluzione nel processo Sistema Rende, per Sandro Principe, Umberto Bernaudo, Pietro Paolo Ruffolo e Giuseppe Gagliardi, ex amministratori del Comune di Rende, accusati di aver intrecciato relazioni con la ‘ndrangheta, nello specifico con il clan "Lanzino" di Cosenza, in cambio di appoggi elettorali e vantaggi politici.

Il ricorso era stato promosso dal Procuratore Generale, che contestava una totale mancanza di motivazione nella sentenza d’appello, la quale, a sua volta, si era limitata a riprendere le conclusioni del primo grado, senza confrontarsi con i 10 articolati motivi di impugnazione presentati dal pm.

Sistema Rende, assenza di motivazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso definendo la sentenza d’appello una pronuncia «del tutto priva di passaggi in cui sia stata svolta quella attività controargomentativa che caratterizza il lavoro del giudice di merito dell’impugnazione quando respinge o dichiara inammissibile un appello o un ricorso».

In particolare, i giudici di legittimità hanno sottolineato: «La Corte di appello di Catanzaro si è, infatti, limitata ad affermare di condividere la sentenza di primo grado senza confutare in alcun modo le ragioni esposte nell’atto di appello». «Si è, pertanto, in presenza di una motivazione del tutto mancante o comunque apparente, atteso che “in tema di sentenza di appello, incorre in una motivazione apparente il giudice che si limiti a una mera rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, senza tenere in adeguato conto le specifiche deduzioni difensive, omettendo, altresì, di fornire adeguata spiegazione circa l'infondatezza, l'indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso”».

E ancora: «Nel caso in esame l’apparenza della motivazione è ancora più evidente che nel caso della pronuncia Lo Coco, perché la sentenza impugnata neanche ha passato in rassegna gli elementi di prova assunti nel giudizio di primo grado, limitandosi soltanto a ribadirne le conclusioni».

Il punto giuridico: la motivazione per relationem

Durante la discussione, le difese avevano provato a sostenere che la motivazione potesse essere “per relationem”, ossia rinviata alla sentenza di primo grado. Ma la Cassazione ha rigettato l’argomento in modo netto: «Manca del tutto il requisito secondo cui il giudice deve dare dimostrazione di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento». «Nel caso in esame neanche di motivazione per relationem si può parlare, ma solo di assenza di motivazione».

L'appello del pm era specifico

Altro nodo centrale affrontato dalla Suprema Corte è l’ammissibilità dell’appello del pubblico ministero, all'epoca Pierpaolo Bruni, oggi procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere, che era stato messo in discussione dalle difese. Anche qui la posizione della Cassazione è stata chiara: «L’atto di appello presentato dal pubblico ministero era conforme all’onere di specificità dell’impugnazione», si legge, «ed astrattamente idoneo ad incardinare la cognizione del giudice di appello». E cita ad esempio: le ritrattazioni dei testimoni in aula, con presunti episodi di minacce e intimidazioni, tra cui Francesco D’Ambrosio e Ernesto Lupinacci; la sospetta pressione esercitata da Principe sul tecnico comunale Raimondi per favorire l’assegnazione del bar comunale alla moglie di un affiliato; le osservazioni sulla notorietà criminale di Adolfo D’Ambrosio, secondo il pm nota ben prima del 2014 (data ritenuta invece dirimente dalla Corte di merito).

Tutti elementi che, secondo la Cassazione, avrebbero imposto al giudice di appello un esame puntuale, assente nella motivazione impugnata.

Il ricorso è ammissibile anche ai sensi dell’art. 608 c.p.p.

La Corte ha riconosciuto che l’assenza di motivazione costituisce violazione di legge rilevante anche nei casi in cui, per legge, il ricorso è limitato a vizi formali: «L’assenza totale di motivazione è una violazione di legge per cui è ammesso il ricorso ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (...) è inosservanza di un dovere presidiato a livello costituzionale». In definitiva scrive la Cassazione: «Non si può immaginare che, a fronte di un vizio di tale gravità, la specifica menzione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) del codice di rito possa condurre a escludere tale vizio dal novero delle inosservanze processuali sanzionate con la nullità».

Sistema Rende, cosa succede adesso

Il procedimento torna alla Corte d’Appello di Catanzaro, che dovrà pronunciarsi ex novo sui motivi d’appello del pm, motivando puntualmente ogni decisione e valutando nel merito tutti gli elementi probatori messi in discussione.

Un messaggio chiaro dal Palazzaccio

La sentenza della Suprema Corte sul processo "Sistema Rende" ribadisce un principio giuridico essenziale: la motivazione è l’anima del provvedimento giudiziario. Per farla: Una sentenza senza motivazione è una "non sentenza". E non rende giustizia a nessuna delle parti in causa del processo sul Sistema Rende.