Le previsioni normative e regolamentari previste dallo statuto del Sistema bibliotecario vibonese «sono state completamente disattese». Le indagini della Guardia di finanza di Vibo Valentia sul metodo Floriani – da Gilberto, storico direttore del Sbv – partono dalla nascita dell’ente, ricostruita attraverso il carteggio con la Regione Calabria. E arrivano fino agli anni in cui il disordine contabile avrebbe garantito all’ex direttore e ai suoi figli prebende illegittime.

Nel 2017 l’assemblea dei sindaci «crea dal nulla due nuove figure organizzative»: Valentina Amaddeo diventa direttore amministrativo, Floriani direttore tecnico-scientifico. È il passepartout che consente al deus ex machina Floriani di continuare a gestire tutto, come ha sempre fatto nel corso degli anni. In quella fase la politica abdica, secondo il ragionamento del gip del Tribunale di Vibo Valentia, a ogni forma di controllo: «Tutte le deliberazioni adottate dall’assemblea dei sindaci e di conseguenza dei presidenti da essa nominati sono da considerarsi illegittime» e il Sbv è «gestito da soggetti che non avrebbero titolo a farlo».  

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Tutte le determine su manifestazioni ed eventi «sono state assunte dai direttori» che, «di fatto, si sono sostituiti al Comitato di gestione». E invece sarebbe stato compito del Comitato di gestione quello di «promuovere e coordinare le attività del Centro Sistema, approvare il piano di attività del Sistema predisposto dal direttore, approvare il piano di spesa relativo alla organizzazione e alla realizzazione dei servizi, deliberare gli impegni di spesa del Sistema».

Nel Sbv Floriani avrebbe dettato legge con «la compiacente collaborazione di Valentina Amaddeo», ma anche grazie al «silente “placet” dei presidenti che si sono susseguiti nel tempo e delle svariate assemblee dei sindaci». Nel tempo, il Sistema bibliotecario vibonese è diventato un fiore all’occhiello per la Provincia, così come il Festival Leggere e scrivere. Dietro l’immagine, però, si celava una gestione che la Procura di Vibo ritiene familistica. La ricognizione parte dal 2015. Prima determina: Floriani nomina «in maniera arbitraria e completamente illegittima» Valentina Amaddeo direttore amministrativi del Sbv e le conferisce la delega «a firmare gli impegni di spesa e le determine, compresi gli atti di liquidazione».

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Seconda determina della gestione, la prima firmata da Amaddeo: è l’affidamento dell’incarico a una cooperativa sociale e «“casualmente” il primo provvedimento riguarda l’assegnazione di un incarico che, seppur in maniera gratuita, viene affidato alla cooperativa sociale Nexus il cui rappresentante legale è Emilio Floriani, figlio di Gilberto». L’ultimo atto del 2015 è un avviso pubblico per la ricerca di personale a tempo determinato: lo firma soltanto Amaddeo, indicata come «segretaria», mentre Floriani comunica «di astenersi per possibili conflitti di interesse». È l’astensione di Floriani a finire nel mirino dell’inchiesta: «Avendo in animo di far candidare i propri figli (cosa poi avveratasi) per la selezione, ha preparato bene il terreno estromettendosi per non destare sospetti e in modo di dare una seppur minima parvenza di legalità alla selezione».

L’ipotesi trova compimento nel 2016: una nuova determina firmata da Amaddeo affida l’incarico part-time a quattro persone: due sono Giuseppe ed Emilio Floriani, figli di Gilberto. È soltanto l’inizio della storia: i due avranno, nel corso degli anni, una “corsia preferenziale” nei rapporti con il Sistema bibliotecario, una creatura – secondo l’accusa – plasmata da Floriani per farne un bancomat a uso e consumo della propria famiglia. Un ente caratterizzato dalla «irregolare, confusionaria, contradditoria e mancante documentazione amministrativo-contabile». Non era semplice sciatteria, per gli investigatori, ma un caos organizzato «per consentire agli indagati di appropriarsi di denaro del servizio pubblico locale per destinarlo a vantaggio di Floriani e dei suoi figli».