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Un cognome ingombrante, un peso per lei che immaginava una vita normale, lontana da vicende di ‘ndrine, di malavita e criminalità. Sarebbe stato questo malessere, secondo quanto riportato da "Il Fatto Quotidiano", ad avere soffocato la voglia di vivere di Maria Rita Lo Giudice, nipote del boss e pentito Nino, che domenica mattina alle sei e cinquanta si è affacciata dal balcone al secondo piano della sua abitazione di Reggio Calabria, ha guardato giù, e poi si è lanciata nel vuoto. Maria Rita aveva appena 25 anni. Bella, bellissima nei suoi sorrisi appena accennati e nei lineamenti tipicamente mediterranei.
A dicembre si era laureata in Economia a pieni voti e si era poi iscritta al corso di laurea magistrale. Poco più di un mese fa aveva visitato Francoforte e Bruxelles con i colleghi dell’università. Una vita normale la sua, almeno in apparenza. Perché, quel giro di usura, estorsioni, omicidi e pentiti che le fluttuava attorno le faceva sentire il peso della vergogna e dell’inadeguatezza. Il padre Giovanni era da tempo in carcere come esponente della cosca Lo Giudice, lo zio Nino è un collaboratore di giustizia.
C’è poi lo zio Luciano, deux ex machina del clan. I carabinieri hanno depositato i verbali del fidanzato, dei parenti e degli amici di Maria Rita. La ragazza non ha lasciato bigliettini né fatto confidenze ad alcuno. Difficile sarà ricostruire se a spingerla a gettarsi nel vuoto sia stato con certezza quell’ambiente da cui cercava di riscattarsi, quel cognome pesante come un macigno sui suoi sogni di giovane donna.
Tiziana Bagnato