Quattro società operanti nel settore edilizio e del commercio all'ingrosso e dettaglio di articoli per impianti idro-termo-sanitari; 26 immobili, personali e aziendali, tra Reggio Calabria e Villa San Giovanni; un'auto; conti correnti personali ed aziendali, polizze e dossier titoli. Hanno un valore di circa 7 milioni di euro i beni sequestrati dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria a Roberto Morgante, 49 anni, di Villa San Giovanni, imprenditore nel settore edilizio ed attualmente detenuto.

“Il rappresentante delle cosche”

 Gia' sottoposto, nel '93, alla misura dell'avviso orale da parte del questore di Reggio Calabria, Morgante e' stato arrestato nel 2014, con altre 39 persone, nell'ambito dell'operazione "Tibet", coordinata dalla Procura-Dda di Milano e condotta dalla Squadra Mobile di Milano con la collaborazione del Centro Operativo Dia di Reggio Calabria. Nell'occasione era emerso che l'uomo agiva quale "rappresentante e collettore di risorse economiche di cosche, operative sul territorio di Reggio Calabria, coinvolte in lucrose attivita' delittuose a sfondo finanziario gestite in Lombardia, nel cosiddetto 'Locale' di Desio (Monza e Brianza), dalla cosca di 'ndrangheta allora capeggiata da Giuseppe Pensabene".

Il ruolo di Morgante   

 Il ruolo del Morgante, secondo gli investigatori, era quello di "finanziatore e, quindi, compartecipe delle iniziative illecite della consorteria milanese su quel territorio, soprattutto di natura usuraia" Per questi fatti, nel giugno 2015, Morgante e' stato condannato, in primo grado, dal Gup di Milano, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, a 6 anni e 10 mesi di reclusione, con la confisca di numerosi beni. La sentenza nel luglio 2016 e' stata confermata dalla Corte di Appello di Milano.

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La pericolosità sociale    

Con il provvedimento di oggi, il Tribunale - Sez. Misure di Prevenzione di Reggio Calabria, ha riconosciuto la sua pericolosita' sociale (in quanto "gravemente indiziato di appartenere alla 'ndrangheta e poiche' dedito alla commissione di reati contro il patrimonio sin dalla fine degli anni '90") e confermato l'esito degli accertamenti patrimoniali condotti dalla Dia reggina che hanno evidenziato "una netta sproporzione tra gli investimenti effettuati ed i redditi dichiarati".