In molti in queste ore si stanno domandando come sia possibile che, a fronte di una richiesta dell’accusa pari a 7 anni e 11 mesi nei confronti di Mimmo Lucano, il Tribunale presieduto da Fulvio Accurso (Foti e Sobbrio a latere), abbia deciso per una condanna a 13 anni e 2 mesi di reclusione, quindi oltre cinque anni in più di quanto invocato dall’accusa.  

Proviamo a fornire una spiegazione tecnica, prescindendo, in questo momento, da qualsivoglia valutazione di tipo politico o comunque non tenendo conto del fattore umano e della figura rappresentata da Lucano per tantissime persone. Ragionando con un profilo meramente giuridico, è il dispositivo di sentenza a fornire, in attesa delle motivazioni, un primo importante segnale di ciò che i giudici hanno deciso.  

Le richieste dell’accusa 

Intanto il ragionamento dei pubblici ministeri: nella loro requisitoria erano partiti dal reato più grave (la concussione, punita con una pena base compresa tra 6 e 12 anni) e poi era stato chiesto un mese ciascuno per tutti gli altri reati. In totale, dunque, sei anni per la concussione e altri 23 mesi per tutti gli altri reati (sotto il vincolo della continuazione), per un totale di 7 anni e 11 mesi.  

La decisione dei giudici 

Leggendo il dispositivo, balza all’occhio un primo dato di rilievo: il Tribunale ha assolto Mimmo Lucano dal reato più grave, ossia la concussione. Può sembrare un paradosso, ma è così. Differentemente dai pubblici ministeri, invece, non ha ritenuto tutti i reati sotto il vincolo del medesimo disegno criminoso, ma ha sviluppato due filoni diversi. Con serie ripercussioni nella quantificazione della pena.  

A Mimmo Lucano era contestato al capo 1) di essere promotore e organizzatore dell’associazione per delinquere, reato per il quale è prevista una cornice edittale da tre a sette anni di reclusione.  

Al capo 2) un episodio di abuso d’ufficio, reato previsto e punito dall’articolo 323 c.p. e che prevede una pena che va da uno a quattro anni. Secondo i giudici, invece, non è quello il reato che doveva essere contestato a Lucano. Infatti, il collegio ha ritenuto di riqualificare tali condotte nel reato previsto dall’articolo 640 bis c.p., ossia truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Reato che, rispetto all’abuso d’ufficio, prevede una cornice edittale sensibilmente diversa, ossia una pena compresa tra i due ed i sette anni di reclusione. Anche più grave rispetto alla truffa aggravata nei confronti dello Stato (altro reato contestato), che prevede una cornice edittale da uno a cinque anni. 

Ma è il capo nove, a questo punto, quello base da cui i giudici sono partiti. Parliamo del reato di peculato (contestato in vari episodi e aggravato dal danno di rilevante entità), punito con una pena che va da 4 a 10 anni di reclusione. Questo è un primo importante dato su cui soffermarsi. I giudici, per determinare la pena dei primi 16 reati sono partiti da quello di peculato. 

Cosa significa reati “in continuazione” 

Ebbene, qualora si dovesse procedere ad un calcolo materiale della sommatoria delle condanne previste per i diversi reati, verrebbe fuori una cifra spropositata, considerato che sono 16 i capi d’imputazione contestati sul punto a Lucano. Ed anche applicando il minimo si arriverebbe ad una quota molto alta.  

Il Tribunale, al contrario, ha ritenuto che tutti i 16 reati siano avvinti dal vincolo della continuazione, ossia la fattispecie prevista dall’articolo 81 del codice penale. Si ha il vincolo della continuazione quando un soggetto viola più disposizioni di legge o la stessa disposizione più volte, al fine di realizzare il medesimo disegno criminoso. Ed è questo il caso che i giudici hanno riconosciuto a Lucano: aver violato più volte la stessa norma, anche se in tempi diversi, all’interno di un unico disegno criminoso.  

In questi casi, l’articolo 81 prevede che venga applicata la pena per la violazione più grave, aumentata fino al triplo (a prescindere dal numero dei reati), lasciando al libero apprezzamento del giudice il compito di decidere il quantum della pena da infliggere, nei limiti dettati dalla norma.  

Nel caso di specie, possiamo provare a fare un esempio: se i giudici partono dalla pena base del peculato (4 anni), si possono spingere fino ad un massimo di 12 anni (il triplo di 4). In effetti, i giudici si sono fermati entro i limiti imposti, arrivando – per i primi 16 reati – a 10 anni e 4 mesi di reclusione.  

A ciò vanno aggiunti gli altri cinque reati, staccati dal primo gruppo, ma anch’essi uniti fra loro dal vincolo della continuazione. In totale, per i cinque reati, sono stati inflitti 2 anni e 10 mesi di prigione (in questo caso il reato più grave è l’abuso d’ufficio che prevede una pena fra 1 e 5 anni). Quindi, ammettendo la pena base di 1 anno, il limite massimo era di tre. La somma fra i due gruppi di reati porta alla pena di 13 anni e 2 mesi.  

Esempio a parte, è bene rimarcare come solo con la lettura delle motivazioni sarà possibile comprendere a pieno quale sia stato il percorso motivazionale dei giudici che oggi si può solo ipotizzare. Da rimarcare come Lucano sia stato assolto anche per nove capi d’imputazione.  

La confisca monstre 

I giudici hanno inoltre deciso una confisca monstre per Lucano, disponendo la confisca di somme pari ad oltre un milione di euro in totale.