Acquisti di merce per oltre 600mila euro venduti dalla sua azienda, l’assunzione della cognata e la promessa di nuovi “posti” per persone da indicare a suo piacimento.

Sarebbe questo, secondo i magistrati, il prezzo della corruzione che è costato all’ex sindaco Gianluca Callipo un nuovo avviso di garanzia.

Callipo, già in carcere da dicembre in esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott condotta dalla Procura di Catanzaro, era anche nel mirino della Procura di Vibo Valentia, che alla fine del 2019 si apprestava a chiudere il cerchio, se non fosse arrivato prima il provvedimento di carcerazione preventiva chiesto da Nicola Gratteri.

 

Secondo i magistrati vibonesi, dal 2014 al 2019, Callipo avrebbe fatto di tutto per impedire a un imprenditore locale, di poter utilizzare proficuamente un’area demaniale sulla quale vantava una regolare concessione rilasciata nel 2010.

Lo scopo dell’ex sindaco sarebbe stato quello di favorire un altro imprenditore vibonese, molto noto, Vincenzo Renda (anche lui indagato), che su quelle stessa area demaniale (un tratto di spiaggia) avrebbe avuto mire personali.

 

Nel dettaglio - scrivono gli inquirenti – avrebbe inviato anche i vigili urbani senza alcuna ordinanza a bloccare i lavori di posizionamento dei pali di delimitazione dell'area oggetto di concessione  e chiesto all'imprenditore di spostare la concessione in altra area, cosa mai di fatto avvenuta per la «strenua resistenza opposta dalla parte offesa».

L'acquisto per 600mila euro e l’assunzione della cognata

Renda, in qualità di legale rappresentante della Genco Carmela & Figli s.r.l., titolare del Galia Luxury Hotel, per raggiungere il suo scopo - si legge nell'avviso di garanzia - avrebbe acquistato merce per 618.677,91 euro presso la ditta "Callipo s.r.l.”, della quale l’ex primo cittadino è socio. Inoltre, avrebbe assunto la cognata dell'ex primo cittadino e promesso l’assunzione presso le strutture ricettive a lui riconducibili di altri soggetti segnalati dallo stesso Callipo.

 

«Utilità - si legge nell’avviso di conclusioni indagini – che il Callipo riceveva per compiere atti contrari ai doveri del proprio ufficio e, in particolare, quale vertice dell'Amministrazione comunale che impartiva le direttive anche sulla politica di gestione del territorio, condizionava l'operato dei dirigenti del comune di Pizzo».

 

Dirigenti che per gli inquirenti «venivano dallo stesso istigati a porre in essere le condotte tese a far ottenere al corruttore il godimento, anche in mancanza di titoli abilitativi, di una porzione di arenile con annessa spiaggia sita in Pizzo Calabro, unica area fronte mare rispetto alla struttura ricettiva "Galia Luxury Hotel”, e già oggetto della licenza demaniale n. 6/2010 rilasciata dall'Ufficio del demanio-Ufficio Tecnico del Comune di Pizzo».

 

Tra gli indagati risultano pure Nicola Domenico Donato e Salvatore Nicola Vasta in qualità rispettivamente di dirigente tecnico dell'Area Urbanistica del comune di Pizzo e responsabile del servizio Urbanistica e Demanio Marittimo del Comune di Pizzo, in quanto si legge dall'avviso di conclusione indagine «su istigazione del sindaco Callipo» omettevano di evadere le istanze di loro competenza  presentate dall'imprenditore denunciante in relazione al godimento della concessione demaniale «al solo fine di procastinarne l'esito e cagionare un danno ingiusto al predetto».

 

Nell’avviso di conclusione indagine contestato anche un altro episodio che coinvolge lo stesso Callipo in qualità di sindaco e Nicola Vasta in qualità di responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Pizzo.

La vicenda mette in luce la violazione della legge che disciplina il regime del rilascio delle concessioni demaniali da parte comuni. Nel dettaglio Callipo e Vasta - si legge nell'avviso di conclusione indagini - procuravano all'amministratore unico di un'altra struttura ricettiva «un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel rilascio alla predetta struttura ricettiva della concessione demaniale di una porzione di spiaggia. La concessione veniva di fatto rilasciata pur in assenza di un provvedimento formale e senza ricorrere al modello tipizzato attraverso un procedimento amministrativo non conforme alle norme vigenti».