Il gip di Catanzaro Cristina Flesca non ha convalidato il fermo di cinque dei 20 indagati implicati nell’operazione Secreta Collis portata a termine dalla Dda e dalla Squadra Mobile di Catanzaro lo scorso 15 gennaio.
Si tratta di Vittorio Falvo, 32 anni, nei confronti del quale il gip ha ordinato la scarcerazione; Loredana Ferraro, 24 anni, per la quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. Restano in carcere Andrea Caracciolo, 40 anni, Giampaolo Tripodi, 34 anni, e Lorenzo D’Elia, 46 anni.

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L’inchiesta contempla l’esistenza di due associazioni per delinquere: una dedita la traffico di droga e l’altra alla detenzione di armi. Per quest’ultimi associazione la Dda di Catanzaro ha individuato l’aggravante mafiosa poiché le armi sarebbero state detenuti da appartenenti alla cosca Gagliano di Catanzaro e messe a disposizione delle cosche del distretto. I due gruppi sarebbero stati capeggiati da Domenico Rizza detto Enrico.
Tre sono i giudici destinati alla convalida dei fermi: Cristina Flesca, Sara Merlini, Fabiana Giacchetti e Mario Santoemma. 
Si è avuta oggi notizia dell’ordinanza emessa dal gip Flesca.
I cinque indagati sono, in particolare, coinvolti nel traffico di droga.

Il gip: «Per i cinque indagati non sussiste il pericolo di fuga»

Il gip ha ritenuto di non convalidare il fermo per ragioni riguardanti il pericolo di fuga. Il giudice afferma che il pm abbia ritenuto sussistente il pericolo di fuga, e dunque procedere con il fermo, perché «al vertice dell’organizzazione vi è Rizza Domenico detto Enrico il quale, approvvigionando di armi talune cosche calabresi ed essendosi accreditato presso di esse, potrebbe godere di legami funzionali ad assicurare a lui stesso, così come agli altri sodali, agevoli vie di fuga».
La Procura, ha inoltre sottolineato il fatto che dalle intercettazioni emerge che «i soggetti posti al vertice dell’organizzazione in più occasioni e con diverse persone hanno manifestato preoccupazione per le indagini in corso. Inoltre, come ulteriore elemento cui ancorare la sussistenza del presupposto in parola è stata richiamata una conversazione intercorsa tra Domenico Rizza, la moglie di quest’ultimo, Marco Riccelli ed altra donna, non meglio identificata, dalla quale si evince come i predetti abbiano un informatore che li avrebbe avvisati in caso di operazioni di polizia».

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Ma se questo dato vale per i vertici dell’associazione, secondo il gip «non può assumere valore concretamente indicativo del pericolo di fuga per i meri partecipi», ovvero per Falvo, D’Elia, Caracciolo, Ferraro e Tripodi.

«Invero – scrive il giudice Flesca –, per i predetti, fatta eccezione per Loredana Ferraro (che gode di una posizione di privilegio data dall’essere compagna del Riccelli), non ricorre alcun elemento individualizzante che consenta di ritenere e anche solo di ipotizzare che i predetti, una volta resi edotti dai vertici del sodalizio di eventuali e imminenti arresti, si sarebbero dati alla fuga. Né tali considerazioni possono spendersi con riguardo a Ferrare Loredana, trattandosi di argomentazioni del tutto congetturali e non essendovi alcun elemento concreto e riferito specificamente alla sua persona da cui ricavare che sia plausibile che la donna, se lasciata in libertà, si sarebbe sottratta alla pretesa di giustizia».
«Pertanto, e conclusivamente, contrariamente a quanto prospettato dall’ufficio di Procura non è ravvisabile nel caso in esame uno specifico, concreto ed attuale pericolo di fuga; di talchè il fermo non va convalidato per nessuno degli odierni indagati».

Gravi indizi di colpevolezza per tutti tranne che per Falvo

Il gip ha ritenuto confermata la gravita indiziari nei confronti di Tripodi, «pusher al dettaglio, legato anche in vicende giudiziarie pregresse alla figura di Domenico Rizza detto Enrico». Riconosciuta la pericolosità sociale di Tripodi, difeso dall’avvocato Elio Bruno, che «può rintracciarsi non solo nella commissione di parecchi delitti scopo dell’associazione, ma anche poiché dal compendio intercettivo in atti è possibile attribuirgli un ruolo vicino ai vertici tanto da essere uno dei pochi ad averli supportarli in un momento di frizione»
Andrea Caracciolo, difeso dall’avvocato Francesco Catanzaro, «rappresentava un importante canale di smercio del gruppo criminale capeggiato da Domenico Rizza». Per lui la gravità indiziaria «riposa anzitutto nel dato intercettivo», scrive Flesca.

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«Quanto a Loredana Ferraro – sostiene il giudice – deve sottolinearsi che nonostante sia compagna del Riccelli, che vanta di una posizione apicale all’interno del sodalizio, oltre al fatto che dal compendio intercettivo emerge una certa conoscenza nel settore del traffico di stupefacenti (tanto da avere contatti con taluni pusher in grado di ampliare il giro di possibili clienti ed apportare ingenti guadagni al sodalizio), non si ritengono sussistenti esigenze di eccezionale gravità tali da giustificare l’applicazione della misura di massimo rigore. Più nel dettaglio, la difesa ha prodotto documentazione atta a dimostrare il fatto che trattasi di madre di prole di età inferiore ai sei anni e che, peraltro, il figlio minore dell’indagata, nonché figlio del Riccelli (anch’egli sottoposto a fermo nel medesimo procedimento con richiesta di applicazione della misura inframuraria) risulta affetto da gravi patologie tanto da godere del beneficio dell’accompagnamento. Per tali ragioni e ferma restando la sussistenza di gravi indizi di reità a suo carico per il reato associativo alla citata indagata deve applicarsi la misura degli arresti domiciliari, in quanto si ritiene misura adeguata a contenere il rischio di recidivanza, accompagnata dal divieto di comunicare con persone terze diverse da quelle che con lei coabitano». Ferraro è difesa dall’avvocato Gregorio Viscomi.
D’Elia, difeso dall’avvocato Daniela Scarfone, viene ritenuto «uomo di fiducia da parecchi anni e punto di riferimento per smerciare la droga facente capo all’associazione, di guisa che gode di numerosi contatti con i clienti che sistematicamente riforniva».

Scarcerato Vittorio Falvo, ritenuto dall’accusa «uno dei canali di smercio dell’associazione».
Secondo il gip non è provata la partecipazione dell’indagato al progetto associativo e «non possono dirsi sussistenti a carico del Falvo in relazione alla contestazione associativa gravi indizi di colpevolezza (apparendo tutt’al più sufficienti)».
«Secondo l’ipotesi d’accusa – scrive in una nota l’avvocato Francesco Iacopino –, Falvo sarebbe partecipe della presunta associazione, provvisoriamente contestata, in quanto stabilmente a disposizione del gruppo dedito al narcotraffico. Leggendo le conversazioni intercettate, però, emerge l’esatto contrario. Se esiste un’associazione (e il processo lo accerterà) le conversazioni in atti dimostrano già da una prima immediata lettura che certamente Falvo non ne fa parte».