Scordovillo, il campo rom più grande del Sud Italia, un crocevia di povertà, degrado, sofferenza e rassegnazione, non ricorda nemmeno se ha mai visto un vescovo entrare qui dentro. Lo ha visto oggi, lo ha fatto con la semplicità che lo contraddistingue monsignor Giuseppe Schillaci nuova guida della diocesi di Lamezia Terme che ha voluto toccare con mano quel microcosmo arroccato alle spalle dell’ospedale cittadino dal 1982.

 

Quella soluzione provvisoria ad un’alluvione diventata poi culla e tomba per centinaia di rom. Cinquecento quelli che vi vivono al momento, un’ordinanza di sgombero della Procura pesa sulla loro testa dal 2011, ma toglierli da lì non è affatto facile.

 

Schillaci è arrivato nel campo accompagnato da una snella delegazione di religiosi e volontari Caritas, con una croce di legno al collo. Il vescovo si è fermato in ogni baracca, ha stretto mani, accarezzato i bambini, baciato le donne, dato benedizioni, ascoltato.

 

«Sono emozionato anche io – ha detto – vedere questa realtà non può non toccare il cuore e l’umanità. Siamo uomini e la nostra umanità non può essere insensibile e chiudere gli occhi dinanzi a tutto questo».

 

«Noi dobbiamo guardare agli ultimi, ai più deboli, a quelli che non ce la fanno. Solo allora avremo una società che cresce e dà più possibilità per tutti». Sua Eccellenza ha anche recitato il Padre Nostro ed invitato i bambini del campo ad un torneo organizzato nel campetto della Cattedrale.

 

«Solo con la prossimità si vede meglio, come ci dice Papa Francesco. Essere qui oggi come Chiesa significa essere vicini, farsi prossimo. Di questo abbiamo bisogno – ha affermato - Avvicinandoci all’altro respingiamo la marginalizzazione, la discriminazione, la violenza. Vediamo meglio solo con la compassione e la misericordia. E misericordia è il nome di Dio».