Il decreto che dispone lo scioglimento della Fondazione Corrado Alvaro di San Luca, firmato dalla Prefettura di Reggio Calabria e notificato l’11 febbraio 2025, per molti è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Un atto che definisce l’ente «inoperoso, privo di risorse, paralizzato» e che, tra le righe, insinua ombre, evocando relazioni familiari con soggetti ritenuti «vicini alla criminalità». Parole che certamente pesano come pietre, e che hanno suscitato l’immediata reazione di chi fino ad oggi ha guidato quella Fondazione.

Aldo Maria Morace, accademico, filologo, studioso di Corrado Alvaro, ha scelto di rispondere inviando una memoria alla Prefettura, scrivendo una lettera al Presidente della Regione, ma soprattutto snocciolando un elenco minuzioso di attività, numeri, titoli, volumi, progetti, incontri, presenze, idee.

Le motivazioni della Prefettura

Nel provvedimento della Prefettura si legge che la Fondazione risulterebbe inattiva da tempo, priva di risorse economiche, priva di slancio gestionale, e che non avrebbe più le condizioni per proseguire il proprio cammino. Il decreto mette in fila assenze di contributi da parte degli enti fondatori, nessuna progettualità finanziaria sostenibile, una governance che non garantirebbe più operatività. Fino ad arrivare, in un passaggio durissimo, a richiamare legami familiari tra componenti del Consiglio di Amministrazione e soggetti vicini ad ambienti della criminalità organizzata.

Affermazioni che la Fondazione definisce gravissime, in quanto, secondo la governance sciolta dal decreto prefettizio, non accompagnate da alcun atto, elemento oggettivo o contestazione formale. Per Morace, non viene contestata una sola delibera, un solo bilancio, un solo atto amministrativo.

«Chi scrive così non ha mai visto San Luca»

A colpire più di tutto, nelle parole del Presidente Morace, è il senso di ferita istituzionale. Perché quel decreto non viene letto solo come un atto giuridico, ma come la rappresentazione di uno sguardo distante, sbrigativo, burocratico, incapace di cogliere cosa significhi tenere viva una casa-museo, un fondo autografo, una biblioteca digitale, un Comitato scientifico internazionale, e farlo - a detta della Fondazione - senza un euro pubblico, in un contesto dove ogni iniziativa è un gesto di resistenza civile.

«È evidente - scrive Morace - che chi ha redatto quel provvedimento non conosce la nostra storia. Non sa cosa significa restare a presidiare un luogo che tutti abbandonano. Non ha letto i nostri bilanci, non ha chiesto nulla, non ha voluto sapere. Ha semplicemente tracciato un giudizio dall’alto, senza contraddittorio, senza un confronto».

La Fondazione, infatti, rivendica un’attività ininterrotta, testimoniata da più di quaranta iniziative culturali, trentacinque volumi pubblicati, progetti candidati al Ministero della Cultura, visite guidate, convegni scientifici, incontri con le scuole, attività editoriali, digitalizzazioni archivistiche, e persino l’acquisto con fondi propri di un immobile adiacente alla sede principale, per ampliare la Casa Museo di Corrado Alvaro. Tutto questo, assicurano, senza alcun contributo da parte degli enti fondatori. E, anzi, ribadiscono, con ripetute richieste rimaste senza risposta, come dimostrano le lettere ufficiali prodotte e agli atti.

Una questione giuridica e politica

C’è poi un altro punto fondamentale, che riguarda la competenza del provvedimento. La Fondazione Corrado Alvaro è ente di diritto pubblico regionale, istituito con legge della Regione Calabria (n. 20/1995). Questo significa, secondo i legali della Fondazione, che la vigilanza spetta alla Regione, non alla Prefettura.

Un dettaglio tutt’altro che secondario, perché a detta della Fondazione la Regione non ha mai sollevato alcun rilievo sull’attività dell’ente. Ha ricevuto bilanci, relazioni, documentazione completa. Nessuna richiesta di chiarimento, nessuna valutazione negativa, nessuna ispezione. Nulla. E questo, nella logica della Fondazione, rende ancora più difficile comprendere perché lo Stato sia intervenuto su un organismo che non è sotto la sua diretta vigilanza.

Tanto che nella memoria trasmessa agli uffici prefettizi si legge: «Se la Regione è silente e non rileva irregolarità, e se la Fondazione ha operato e documentato tutto, su quale base si procede allo scioglimento?».

L'appello

In una lettera inviata al Presidente della Regione, Roberto Occhiuto, la – ormai ex - governance della Fondazione chiede un intervento pubblico, chiaro, inequivocabile, per difendere un’esperienza che rischia di essere cancellata da un provvedimento percepito come ingiusto. Morace non usa mezzi termini: «Si sta colpendo una delle poche istituzioni culturali autonome presenti a San Luca, una realtà che non ha mai avuto commistioni, che ha operato nel rispetto della legge, che ha offerto ai giovani un’alternativa possibile».

E ancora: «Il rischio è che, dopo aver lasciato soli i territori, lo Stato colpisca proprio chi ha cercato di presidiare quegli stessi territori con gli strumenti della cultura e della conoscenza. Se la Fondazione Alvaro chiude, che cosa resta?».

Oltre il decreto

Al di là degli aspetti tecnici, il provvedimento di scioglimento interroga in profondità il rapporto tra istituzioni e territori, tra potere centrale e periferie, tra forme di controllo e pratiche di presenza culturale. Pensiero che ha spinto due volti noti della locride ad intervenire nel merito.

Per primo l’europarlamentare e sindaco di Riace Mimmo Lucano, che in un comunicato stampa parla di «un altro atto che mortifica e continua ad affliggere una comunità già ferita nella sua dignità». La scelta della Prefettura viene letta come un colpo inferto a un’esperienza che, per quasi trent’anni, ha rappresentato un riferimento culturale in un contesto difficile. «Non è ammissibile tentare di risanare una cittadina radendo al suolo i pilastri che la sorreggono», scrive. E davanti a rilievi che riguardano bilanci, attività e parentele con soggetti condannati o defunti, aggiunge: «Stando così le cose, Peppino Impastato non avrebbe potuto candidarsi».

Il giornalista Klaus Davi, che ha rilanciato di recente anche la sua candidatura a sindaco di San Luca, definisce lo scioglimento «una decisione che con il ripristino della legalità non ha nulla a che vedere». Cita un confronto interno al Consiglio dei Ministri sul caso, richiama la relazione della Commissione parlamentare Antimafia, definendo «fallimentare la gestione commissariale a San Luca», e riassume la sua posizione con una formula netta: «Lo Stato ha sconfessato lo Stato». Denuncia anche le ricadute pratiche del provvedimento, come l’inaccessibilità del campo sportivo comunale, e solleva interrogativi più ampi sull’efficacia e la coerenza degli strumenti adottati.

La vicenda della Fondazione Corrado Alvaro rimane quindi aperta, e il suo destino dipenderà dalla capacità delle istituzioni di trovare un equilibrio tra tutela della legalità e valorizzazione della cultura. Nel frattempo, la comunità culturale calabrese e nazionale si mobilita per difendere un simbolo che, come lo scrittore calabrese a cui è dedicata, incarna il meglio dell’identità italiana.