I carabinieri captano una conversazione nella quale il presunto boss della cittadina tirrenica minaccia un rivenditore: «Quando io ti dico che il pesce lo voglio io, il pesce lo voglio io» (ASCOLTA L'AUDIO)
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il lettino all’ombra del castello dei Ruffo e il pescespada da gustare per i vicoli di Chianalea. E poi la strada che costeggia il mare da rimettere in sesto, lo scalo di alaggio nel porto turistico da ammodernare e le forniture del pane da piazzare a tutti gli esercenti. Persino le macchinette automatiche per le bibite e il servizio di navetta con il finto trenino; per non dire delle gare per i nuovi stabilimenti disegnate ad arte su indicazione di quegli stessi personaggi destinati a vincerle.
Nelle carte della distrettuale antimafia di Reggio c’è un buco nero di malaffare che ridisegna la storia recente di Scilla, gioiello del Mediterraneo e punta di diamante del turismo calabrese, svelando un sistema fatto di prepotenze, estorsioni e violenze. Un buco nero rimasto finora all’ombra dei numeri da capogiro della perla dello Stretto e dalla sbornia mediatica post video di Jovanotti. Un sistema antico – la “nuova linea” che dà il nome all’indagine dei carabinieri si riferisce ai nuovi equilibri ‘ndranghetistici dettati da arresti e sentenze di condanna emessi negli ultimi anni – andato avanti nonostante le limitazioni alla libertà del presunto capo (quel Giuseppe Fulco restituito alla libertà nel 2018 dopo quasi un ventennio passato in galera per reati di crimine organizzato) e maturato sulle spalle di chi, a Scilla, ha provato a fare impresa. E che a quel sistema, suo malgrado, si è piegato.
Ci sono ovviamente gli appalti “classici” cari alla ‘ndrangheta nel mirino del clan retto da Fulco (come le mazzette legate all’adeguamento di una porzione del porticciolo turistico e alla sistemazione di una porzione di strada con marciapiedi annessi), ma il piatto forte di estorsioni e imbrogli venuti fuori dall’indagine dell’antimafia reggina, riguarderebbe ovviamente il comparto turistico, vero motore economico e sociale della cittadina tirrenica. Le mani del clan, ipotizzano gli investigatori, raggiungono praticamente tutti i settori legali all’accoglienza. Iniziando, ovviamente, dal rifornimento del pescespada, vero “must” dell’estate scillese.
Sul piatto c’è un pescespada – l’unico pescato quel giorno dagli uomini di un rivenditore di Bagnara – che Giovanni De Lorenzo, presunto partecipe all’associazione, pretende per la pescheria di Scilla che gestisce con il clan. De Lorenzo deve ancora saldare il debito per vecchie forniture e il commerciante non ne vuole sapere del nuovo affare, anche perché, prova a giustificarsi «l’ho venduto ad un ristorante che da cinque giorni che mi sta stressando il cervello».
Ma il clan non ammette rifiuti, ed è lo stesso Fulco che intervenendo nella conversazione, chiarisce le cose: «Buttiamo giù le carte sul tavolo – urla al telefono Fulco – qua a Scilla si fa come dico io, quando lo dico io e come cazzo voglio io. Quando io ti dico che il pesce lo voglio io, il pesce lo voglio io». l’ordine è perentorio e i tempi di esecuzione devono essere immediati anche perché, ironia della sorte, lo stesso Fulco ha disposizioni di rientrare a casa entro una certa ora. «forse non hai capito – urla intercettato dai carabinieri il presunto reggente della cosca – io alle otto devo rientrare, alle sette e mezza devi essere qui sennò il camion non viene più qua».