Già nel 1993 l'inchiesta Cyrano aveva portato alla luce la saga criminale della famiglia di 'ndrangheta costruita sul groppone di uno dei gioielli del sistema turistico italiano
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«Operazioni come questa servono anche a dare alla gente il segnale che lo Stato è presente. Si deve rompere quel muro di omertà che protegge i criminali»: era il luglio del 1993, e ilProcuratore nazionale antimafia di allora, il magistrato reggino Bruno Siclari, commentava così alle agenzie di stampa l’operazione della Dia che aveva portato all’identificazione e all’arresto di diversi affiliati alla cosca Nasone – Gaietti di Scilla, lo stesso clan finito nell'inchiesta di due giorni fa coordinata dalla Dda di Reggio Calabria.
La chiamarono operazione Cyrano e, già 30 anni fa, aveva messo in luce l’interesse delle consorterie di ‘ndrangheta per gli affari d’oro garantiti dalla capacità attrattiva di un posto magico come quell’angolo di Costa Viola. Anche allora tra gli indagati, oltre ai malacarne della cosca, finirono amministratori comunali (l’ex sindaco socialista, alla guida di un consiglio comunale che vedeva tra i banchi anche un giovanissimo Matacena Jr, riuscì anche a sottrarsi alla retata) e otto imprenditori turistici accusati, tra le altre cose, di avere mentito ai magistrati rispetto alle richieste estorsive dei boss.
Linea nuova, vecchio sistema
L’indagine di giovedì, con i suoi indagati tra amministratori pubblici, presunti mafiosi e imprenditori turistici, rappresenta quasi lo specchio aggiornato di quella vecchia indagine diventata ormai definitiva. E in mezzo a queste due fotografie che riflettono in tempi diversi le medesime dinamiche criminali fatte di violenze, prepotenze e intrusioni nell’economia sana della cittadina, altre tre maxinchieste antimafia che hanno dimostrato la capacità di rigenerazione della cosca con il pallino del turismo, un commissariamento per mafia con relativa rielezione a furor di popolo del sindaco disarcionato Ciccone, e una nuova commissione d’accesso inviata ad agosto e del cui insediamento diede notizia lo stesso primo cittadino.
Una nuova alba
Se le dinamiche si assomigliano terribilmente, alcuni dei protagonisti di questa saga criminale costruita sul groppone di uno dei gioielli del sistema turistico italiano, sono gli stessi. È il caso di Giuseppe Fulco – nipote dello storico capobastone Giuseppe Nasone, ammazzato da un commando armato nel 1987 nell’ottica della seconda guerra di ‘ndrangheta – arrestato giovedì dai carabinieri come presunto reggente della cosca, e che in manette ci era finito già nell’estate del 2011 per un’estorsione per conto del clan ai danni di un’azienda al lavoro per la ristrutturazione dell’A3.
E se al “banchetto” per spartirsi i lavori sull’autostrada, una cosca come quella dei Nasone non poteva non sedersi, “core business” della ‘ndrina, restano gli affari legati alle presenze turistiche. Anche al rifornimento di droga ai tanti vacanzieri che arrivano in città, dicono le indagini dell’inchiesta Lampetra, siamo nell’estate dello scorso anno, ci pensano i Nasone: sono sempre loro, dicono gli inquirenti, a non lasciare mai sfornita la piazza di marijuana e cocaina.
Punto e a capo
«Le circostanze esaminate – scrisse l’allora Ministro dell’interno Marco Minniti sulla sua proposta di scioglimento del consiglio comunale di Scilla – hanno determinato lo svilimento degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità».
Nella loro relazione, i commissari prefettizi indicarono ingerenze e infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno del Consiglio, sottolineando «irregolarità sulle procedure amministrative» e «un uso distorto della Cosa Pubblica». Un copione non molto diverso da quello ipotizzato dall’indagine della distrettuale antimafia di Reggio di giovedì.
Sindaco in quei giorni, eletto nella primavera del 2015 alla guida della civica “Noi per Scilla”, era Pasqualino Ciccone, lo stesso sindaco in carica oggi e finito a sua volta tra gli indagati di “Nuova Linea”.
Dopo lo scioglimento infatti, confermato sia dai giudici del Tar che da quelli del Consiglio di Stato, la posizione di Ciccone venne riconsiderata dal tribunale di Reggio che lo dichiarò candidabile: le successive elezioni amministrative del 2020 segnarono per il sindaco un vero e proprio plebiscito, con oltre il 97% dei consensi raccolti sul totale dei votanti. Un plebiscito che la nuova commissione d’accesso insediata al Comune, e gli arresti tra i banchi del consiglio, potrebbe rimettere in discussione.