Pochi lembi di carne sullo scheletro. Tracce d’inchiostro. I segni di un tatuaggio: forse un cavalluccio marino, un timone. Quei resti straziati recuperati a largo delle acque di San Ferdinando lo scorso 20 giugno potrebbero appartenere a Vito Lo Iacono, il giovane pescatore di Terrasini, disperso in mare, a 30 miglia nautiche dalla costa di Palermo, dopo la collisione con una petroliera avvenuta il 12 maggio precedente. La Procura di Palmi, acquisite le risultanze degli accertamenti autoptici effettuati dal medico legale Pietro Tarzia, presi i contatti con la Procura di Palermo, ha disposto la comparazione del Dna, il cui esito giungerà nei prossimi giorni. Il dettaglio è emerso nel corso dell’incontro che questa mattina il procuratore capo di Palmi Ottavio Sferlazza ha avuto con Elsa Tavella, madre di Francesco Vangeli, il 26enne di Scaliti di Filandari, vittima della lupara bianca il 9 ottobre 2018, gettato nel Mesima e dal fiume, probabilmente, portato nelle acque del Tirreno.

Mamma Elsa non ha mai smesso di credere e sperare che quei resti possano appartenere al figlio: troppo devastato, quel corpo, per appartenere a Vito Lo Iacono dopo poco più di un mese dal naufragio in mare costato la vita anche al padre Matteo e al cugino Giuseppe i cui resti sono stati invece recuperati in prossimità del relitto. E proprio nel relitto che andrebbe recuperato in fondo al mare – ribadiscono con convinzione i familiari di Lo Iacono – potrebbero essere celati i resti del giovanissimo sfortunato pescatore.

Elsa Tavella, accompagnata dall’avvocato Francesca Comito (che assieme ai colleghi Nicodemo Gentile e Antonio Cozza assiste i familiari di Francesco Vangeli), stamani ha a lungo interloquito con il procuratore Palmi, che nel corso di questi mesi ha tenuto aperto un doppio canale di comunicazione. Il primo con il procuratore aggiunto di Palermo Ennio Petrini e con il pm Vincenzo Amico, che indagano sul naufragio della Nuova Iside. Il secondo con la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, in particolare con il pm Anna Maria Frustaci, che ha istruito il processo a carico del presunto assassino di Francesco Vangeli, ovvero Antonio Prostamo: il rampollo del casato mafioso di San Giovanni di Mileto che avrebbe assassinato e fatto sparire il ragazzo di Scaliti, rivale in amore per una giovane donna che ha messo al mondo una bimba la cui paternità era rivendicata da entrambi.

«Ringrazio sinceramente il procuratore Sferlazza per averci ricevuto e per averci rappresentato con chiarezza e sensibilità gli elementi che al momento sono al vaglio del suo ufficio - dice Elsa -. Come sto? Male. Io voglio solo recuperare i resti di mio figlio e sentire che quel corpo scarnificato potrebbe non essere suo per me è un colpo al cuore. Non mi resta che attendere e sperare. Anche mio figlio aveva dei tatuaggi. Ne aveva tre: un angelo, un lupo e un’ancora. La circostanza che siano state rinvenute tracce di alcuni tatuaggi su quei resti scarnificati semmai alimentano la mia speranza. Ma adesso non posso fare altro che attendere».

La madre di Francesco Vangeli rivolge un pensiero anche ai familiari di Vito Lo Iacono: «So cosa provano e sono loro vicino. Spero che l’autorità giudiziaria faccia presto per il bene di entrambe le nostre famiglie». Un appello rilanciato anche dall’avvocato Comito che, nel ringraziare il procuratore Sferlazza per la sensibilità «professionale e soprattutto umana dimostrata questa mattina», confida che l’autorità giudiziaria «continui ad essere la roccia a cui la famiglia di Francesco Vangeli possa restare aggrappata. L’efficace attività investigativa della Direzione distrettuale antimafia ha dato una prima importantissima risposta affinché fosse chiarito cosa è successo e i familiari oggi affiancano l’accusa come parti civili affinché i responsabili, tutti, siano puniti secondo legge. Ma il caso relativo alla morte di Francesco - spiega la penalista - non dobbiamo dimenticare è una vicenda umana drammatica e devastante ancora più ampia, che coinvolge anche una creatura innocente, una bambina».

Il riferimento è alla piccola la cui paternità contesa sarebbe tra le ragioni alla base del barbaro omicidio di Francesco. La piccola che assieme alla madre, anch’ella coinvolta nelle indagini sull’omicidio, dopo la morte di Francesco ha iniziato a vivere in casa con il presunto assassino. «Abbiamo chiesto – conclude l’avvocato Comito – un incontro con il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo. Abbiamo ammirato la carica umana che ha dimostrato sin dal suo insediamento e siamo certi che anch’egli vorrà riceverci e darci ascolto». «Sì – chiosa Elsa Tavella – Abbiamo assoluta necessità che il procuratore Falvo ci riceva».