Quando Giacomo si affaccia sull'uscio della sua casa al piano terra al centro di Scalea, sembra spaventato. «Chi siete», ci domanda, vedendoci piombare con le telecamere nella sua proprietà. «Stai tranquillo - rispondiamo -, siamo qui perché ti vogliamo bene». Ma a Giacomo, nativo di Maierà ma residente nella città di Torre Talao dagli anni '70, di promesse ne sono state fatte tante, mai mantenute, e quasi non crede a quello che diciamo.

«Andate via - ribatte, mentre osserviamo increduli lo scenario surreale che ci troviamo davanti - la casa me la pulisco da solo». Con noi c'è il suo tutore legale, l'avvocato Francesco Galati, che prova a calmarlo: «Non ti agitare, ci sono io con te». L'uomo ha uno sguardo contrariato, ma abbassa le sue difese: «Sto male - confessa sfuggendo all'obiettivo -, sto molto male». E dice la verità.

Giacomo Perrone ha 71 anni, molti dei quali passati a combattere contro le sue turbe psichiche e un destino ingeneroso, che gli ha tolto tutto, compresi gli affetti, e in compenso gli ha dato, tra le tante patologie, anche un'ernia inguinale che gli ha deformato il basso ventre e un'ossessione compulsiva che l'ha trasformato in un accumulatore seriale. Esasperato, il suo tutore legale ci guida nel suo mondo controverso perché vuole denunciare lo stato di abbandono istituzionale a cui è costretto. «Giacomo e Caterina - sua moglie - sono ormai la mia famiglia - dice Galati - mi prendo cura di loro soprattutto per una questione di umanità».

Dal sogno di una famiglia al degrado

Giacomo e Caterina si amano e convolano a nozze giovanissimi. Dalla loro unione nasce una figlia, vivono tutti e tre nella loro piccola abitazione al centro di Scalea. Nel 1996 i servizi sociali si accorgono, però, che qualcosa non va e intervengono per aiutarli. 

«All'epoca - spiega Galati - io ero maresciallo dei carabinieri in questa città e conoscevo perfettamente la loro situazione di disagio. Penso che se fossero stati curati per tempo, oggi le cose sarebbero andate diversamente». I fantasmi che affollano la mente di Giovanni e Caterina si fanno sempre più ingombranti, al punto da comprometterne l'esistenza.

La figlia, divenuta adulta, cerca di rifarsi una vita altrove e nel frattempo Giovanni comincia ad accumulare una serie di oggetti che ben presto occuperanno tutta la casa, ogni giorno più sporca. «Sono state effettuate almeno due bonifiche in questa casa, nel 2018 e nel 2020», assicura il tutore, ma è evidente che il provvedimento non è sufficiente.

La morte sfiorata di Caterina

Smessi i panni del carabiniere dopo aver tagliato il traguardo della pensione, l'avvocato Galati due anni fa chiede e ottiene la tutela legale della famiglia Ciccia-Perrone, circostanza che gli consente di entrare liberamente nella loro casa ad ogni ora del giorno e della notte e salvare fortunatamente la vita a Caterina: «L'abbiamo trovata riversa per ben due volte nel letto, era quasi cadavere, sopraffatta da escrementi e animali morti». Per lei quindi, è scattato il ricovero in una casa per anziani di San Nicola Arcella, Giacomo invece è rimasto solo con i suoi due cani - «sono l'unica cosa che mi è rimasta» - e la terribile paura di non rivedere mai più sua moglie.

La battaglia civile di Galati

Qualche tempo fa l'ex maresciallo dell'Arma Francesco Galati diventa ufficialmente amministratore di sostegno di Giacomo Perrone e il tribunale di Paola, che gli conferisce l'incarico, è perfettamente a conoscenza della situazione. Nel decreto di nomina si parla di «situazione abitativa igienico- sanitaria allarmante», «scadenti condizioni di salute del beneficiando», di «incapacità» e «problemi di natura psichiatrica», oltre a un elenco infinito di patologie. La relazione è frutto di numerosi accertamenti medici disposti negli anni.

Il tutore deve, secondo il documento, «vigilare su Giacomo Perrone, provvedere alle sue esigenze», ma soprattutto «promuovere terapie e cure necessarie alle sue condizioni di salute». E Galati così fa. Faldone di documenti alla mani, ci mostra tutto l'impegno profuso per cercare di preservare non solo la vita di Giacomo, nel frattempo rimasto solo, ma anche la sua dignità, fortemente compromessa dalle malattie mentali da cui è afflitto. L'uomo rifiuta i ricoveri ordinari, ma anche il cibo che gli viene giornalmente garantito, anche dalla Caritas, donandolo spesso e volentieri ai suoi due angeli a quattro zampe.

Il pericolo sociale

Nel novembre del 2020 Giacomo ha tentato anche di aggredire una donna che voleva igienizzare la sua casa e sgomberarla dal mucchio di oggetti maleodoranti accumulati tra una bonifica e l'altra. Giacomo, sostanzialmente, rappresenta un pericolo per sé e per gli altri. Per dimostrarlo, Galati porta a casa sua numerosi medici e professionisti che accertano i suoi squilibri mentali e una condizione igienica inaccettabile. Galati è un martello pneumatico, scrive alla procura, all'Asp di Cosenza, al consultorio famigliare di Diamante, al Comune di Scalea, tutti sanno cosa accade in quella casa ormai fatiscente. Galati chiede pure un tso, non si arrende, vuole risolvere una volta per tutte questa vicenda che si trascina da troppo tempo. Ma ad oggi Giacomo è un uomo solo al mondo, risucchiato dalla disperazione, dai ricordi e dall'ansia che non gli dà tregua. «Ogni volta che vengo a trovarlo - dice l'avvocato - temo di trovarlo morto. Io voglio bene a Giacomo e alla sua famiglia, non posso permettere che subisca tutto questo». Per questo, in qualità di suo tutore legale lancia un ultimo, accorato appello: «Cerco un oss che si prenda cura di lui tenendo conto della sua situazione, per questo lavoro è prevista regolare assunzione».

I bulli di quartiere

Come se non bastasse, come se il destino non fosse già stato abbastanza crudele, Giacomo deve fare i conti anche con i bulletti che passano da casa sua, sorta al piano terra di uno stabile, e sfogano odio e rabbia contro la porta di ingresso. Ci mostra i segni dei colpi inferti con le pietre, che per ben due volte hanno sfondato anche il vetro nella parte superiore: «È il massacro che hanno fatto i balordi - dice esasperato -, arrivano di notte e di giorno». E lo dice mentre zoppica, mentre si tiene la mano sul basso ventre e mostra i segni del suo corpo consumato dal dolore.

Il ricordo della figlia

Giacomo e Caterina hanno vissuto insieme, nella buona e nella cattiva sorte, come si erano giurati il giorno del loro matrimonio. Non avevano mai passato un giorno separati, fino a quando le condizioni della moglie sono precipitate e si è reso necessario il ricovero. Da quel giorno l'uomo non l'ha più vista, ma la mancanza è diventata un macigno: «Vorrei vederla, pure per salutarla, così, buongiorno Caterina, come stai?». Nel caos di casa sua riesce pure a trovare delle vecchie foto. «Mia moglie è questa qui, visto come è bella?». Poi d'improvviso, mentre le immagini scorrono, il suo sguardo si gela. È una foto che ritrae dei bambini intorno a una torta di compleanno, al centro una bimba graziosa con un cerchietto bianco in testa, avrà avuto sei o sette o anni. «Lei è mia figlia».

Non facciamo domande per non turbarlo, ma è stesso lui a parlare. «Non l'ho più vista. Vorrei vederla, adesso è grande. Voi sapete dov'è mia figlia?». Silenzio. A Giacomo tremano le mani, dà ancora uno sguardo a quella foto e quasi offeso per la mancata risposta gira le spalle e se ne va. «Se ti fa piacere torneremo a trovarti domani, Giacomo». Ma lui non risponde, è tornato a chiudersi nel suo mondo, è seduto sul suo letto sudicio e guarda quelle foto intrise di ricordi. Le uniche cose, forse, che lo tengono ancora in vita.