Con gli occhi di tutti puntati sui doverosi salvataggi delle Ong nel canale di Sicilia, le spiagge dello Jonio reggino continuano ad essere punto d’arrivo privilegiato in Europa per migliaia di esseri umani dirottati in Calabria attraverso la “rotta turca”. Un flusso di arrivi praticamente ininterrotto, con le motovedette di Capitaneria e Guardia di Finanza che a ritmo continuo portano in salvo, operando spesso ben oltre i confini delle acque territoriali italiane, migliaia di uomini, donne e bambini che in mare ci erano arrivati grazie alle organizzazioni criminali internazionali che quei viaggi li preparano e li mettono in opera attraverso una rete capillare di complici estesa per mezzo pianeta.

La guerra in Ucraina e la rotta turca

Organizzazioni criminali che, nell’ultimo anno, hanno dovuto fare i conti con l’invasione russa all’Ucraina, modificando una parte della “filiera” che garantisce loro il continuo ricambio di scafisti pronti a partire dalla Turchia verso la Calabria.

Alcuni velieri usati per la traversata del Mediterraneo e sequestrati in Calabria

Ottantasei sbarchi con il loro carico di più di dieci mila esseri umani (il 30% dei quali sotto i 18 anni) solo nel 2022 e che si ripetono al ritmo di «uno ogni 100 ore». Un ruolino di marcia da brividi che determina un flusso di denaro enorme. Un “passaggio” attraverso il Mediterraneo costa tra i 6 e gli 8 mila dollari a persona, parte dei quali finisce agli scafisti.  

Nell’ultimo anno sono 61 quelli fermati dalle forze dell’ordine sul territorio. Ed è proprio scorrendo le statistiche delle nazionalità di provenienza di questo tassello indispensabile nella catena del traffico di esseri umani che intreccia la Locride, che si leggono le conseguenze del conflitto. Praticamente scomparsi gli scafisti di origine ucraina, Paese che per anni ha fornito frotte di underdogs a cui affidare i velieri sulla rotta turca.

Solo due quelli fermati nel corso dell’ultimo anno. Così come è diminuito il numero, appena cinque, di scafisti che provengono dalla Russia, altro Paese che, negli anni, i trafficanti di esseri umani hanno utilizzato come riserva privilegiata di manovalanza. Con lo scoppio della guerra e l’inevitabile calo delle libertà di movimento dai due paesi coinvolti, il mirino delle organizzazioni criminali pare essersi spostato, almeno parzialmente.

È la Turchia il nuovo Eldorado per la ricerca degli scafisti. Sono 24 quelli arrestati negli ultimi 12 mesi in Calabria dalle forze di polizia

È la Turchia, dicono i numeri legati agli arresti e ai fermi, il nuovo “Eldorado” per la ricerca degli scafisti. Sono ventiquattro quelli finiti nel mirino delle forze dell’ordine nel corso degli ultimi 12 mesi. Un dato facilitato anche dal fatto che la maggior parte dei viaggi attraverso il Mediterraneo parta proprio dalle coste dell’Asia Minore. Tredici invece gli scafisti di nazionalità egiziana bloccati nel reggino: ma gli sbarchi legati a questi arresti si riferiscono per lo più a viaggi effettuati con modalità differenti e su differenti rotte.  A leggere i dati del Tribunale di Locri, il conflitto in Ucraina non sembra avere invece influito sui “rifornimenti” provenienti dalla Repubbliche della ex Unione Sovietica.

 Selezionati probabilmente da “scout” locali che li indirizzano ai trafficanti, cinque dei presunti scafisti arrivano dall’Uzbekistan e due dal Turkmenistan, Paesi arroccati in Asia centrale, migliaia di chilometri distanti dalle coste turche. Tra i fermati nel corso degli ultimi 12 mesi, anche cittadini libanesi (3), irakeni (2), siriani (2) e anche un palestinese e un armeno, a compimento di un puzzle internazionale che vede la Locride punto di arrivo di una delle rotte migratorie più trafficate del pianeta.

Catena di montaggio

A spiegare come funziona il reclutamento degli scafisti, ci aveva pensato Alexandro Voievodin, di appena 24 anni, catapultato nella Locride direttamente dal suo villaggio in Kirghizistan, sulle montagne dell’Asia Centrale. Pilotava un barchino arrivato davanti alla spiaggia di Riace nell’ottobre del 2020. A qualche decina di metri dalla battigia, con le forze dell’ordine già sul posto, si era buttato a mare assieme all’altro scafista, anche lui giovane, anche lui proveniente dalle montagne del Tien Shan, nella speranza di non farsi arrestare. Solo lui era riuscito a riemergere dalle acque dello Jonio.

Migranti sul molo del porto di Roccella Jonica dopo lo sbarco

Il cadavere dell’altro lo ritrovarono solo due giorni dopo. Nessuno dei due sapeva nuotare. Nessuno dei due aveva mai visto il mare prima di quel viaggio. Interrogato dai Pm di Locri, il ragazzo, in lacrime, aveva raccontato della partenza dal loro paese direzione Turchia. Dell’addestramento di pochi giorni direttamente sul posto, e della partenza verso la Calabria alla guida di una barca carica di 76 persone. Un modus operandi così consolidato da essere riuscito ad adattarsi anche al cambio degli assetti geopolitici internazionali provocati da una guerra.