Il 2020 ha certificato il fallimento della gestione “romana” totalmente ascrivibile al Governo, che ha continuato a produrre disavanzi economici e servizi inadeguati (ASCOLTA L'AUDIO)
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Disservizi, disorganizzazione diffusa e un deficit che sfonda quota 200 milioni di euro. Dopo dieci anni di commissariamento e altrettanti da relegati nel fondo delle classifiche, la Calabria nel 2020 riesce a guadagnarsi anche la ribalta nazionale. E di certo non per i meriti conseguiti dai commissari governativi che si sono susseguiti in oltre due lustri; al contrario, per certificarne il fallimento.
Il marchio infame
È l'emergenza pandemica a far emergere i limiti di un sistema sanitario allo sfascio ma, soprattutto, di un istituto - quello del commissariamento - applicato ormai solo alla Calabria, regione che porta il marchio infame dell'incapacità gestionale e dell'illegalità diffusa. E il commissario inviato appositamente da Roma per stanare il malaffare rimane però impantanato nella palude da bonificare. È all'esordio del 2019 che il generale dei carabinieri in pensione, Saverio Cotticelli, sbarca in Calabria al grido "legalità" ed è nell'ultimo scorcio del 2020 che trova la morte mediatica.
Il finto scandalo
Si è nel pieno della seconda ondata pandemica, il sistema sanitario boccheggia sotto l'avanzata del virus e tutta Italia scopre in diretta tv l'incompetenza del commissario governativo inviato al fronte da Roma per risollevare le sorti della sanità calabrese. Monta la polemica e si grida allo scandalo a favore di telecamere. Ma non più di un mese prima gli stessi ministeri della Salute e del Mef, che vigilano sullo stato di attuazione del piano di rientro, ne avevano certificato il fallimento nel corso di un tavolo di verifica che non era però stato sufficiente a giustificarne la rimozione.
Il re è nudo
Il re è nudo e questa volta la retorica del lassismo calabro non può essere esercitata in difesa di un operato che è integralmente ascrivibile al Governo. Il commissario, Saverio Cotticelli, assomma in sè ogni potere: organizzativo sanitario, di risanamento finanziario e perfino le facoltà di nomina. La Calabria esautorata da ogni funzione resta alla finestra e assiste inerme all'indecoroso spettacolo gratuitamente offerto da Roma. Che non si esaurisce però nella tragicomica intervista rilasciata dal commissario governativo.
La successione al trono
Il fondo è ancora ben lontano dall'essere toccato. E lo si raggiunge nella fase della successione al "trono". Per quasi un mese si protrae, infatti, il vergognoso balletto delle nomine dei commissari destituiti ad horas, nominati a loro insaputa o rimasti in carica per una manciata di ore. I partiti si contendono a colpi di gogne mediatiche l'ultimo scampolo di potere: la gestione della sanità in Calabria. Prateria assai ambita tanto da divenire terreno di scontro politico nei palazzi romani, ma sulla pelle dei calabresi.
Il valzer delle nomine
Il valzer delle nomine ha inizio: Giuseppe Zuccatelli, Eugenio Gaudio e Narciso Mostarda. La quadra non si trova e la sintesi arriva solo dopo venti giorni di vacatio. È il "superpoliziotto" Guido Longo a mettere d'accordo tutti e, ancora una volta, al grido della legalità. La Calabria ora ha un nuovo commissario e può tornare nel consueto cono d'ombra.
Assalto alla diligenza
Ad un mese dall'insediamento, Guido Longo però non ha ancora una squadra di supporto, nè l'ausilio di sub commissari per avviare l'annunciata rivoluzione sanitaria. Al contrario, l'unico assillo di Roma è il ritardo accumulato nelle nomine dei commissari straordinari, licenziate per il rotto della cuffia il giorno prima di San Silvestro. L'ultimo assalto alla diligenza è compiuto fuori tempo massimo e alle spalle di una regione ormai anestetizzata.