Soccorso Capomolla, direttore sanitario del Sant'Anna Hospital, ha condotto una ricerca impietosa sul cortocircuito che negli ultimi 40 anni ha determinato il disastro. Uno scenario a tinte forti, dove «la priorità è recuperare l’etica della leadership»
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A cura di Soccorso Capomolla*
La situazione sanitaria in Italia e in Calabria rispetto al resto dell’Europa, presenta dati inequivocabili. La spesa sanitaria, che in Italia presenta un trend in aumento in termini assoluti, se comparata al Pil si attesta solo al 6,3%. Sulla carta, quindi, sembrerebbero esserci risorse sufficienti per la gestione ordinaria del Sistema Sanitario Nazionale (SSN): in realtà, queste non permettono di dar vita a politiche di sviluppo e investimento. Questo è tanto più vero quanto più si pensa che nel nostor Paese sono aumentati i fabbisogni, la spesa sanitaria procapite è aumentata di circa il 25% (mediamente 615 euro in più rispetto alla quota capitaria finanziata dal SSN) e viene pagata privatamente dai cittadini come “spesa out of pocket”. A fronte di ciò, tuttavia, va anche detto che il nostro SSN, rispetto ad altri sistemi sanitari dell’area euro, ottiene ottimi risultati in termini di efficacia e di qualità dei servizi: pur con la scarsità di risorse che lo contraddistingue, e l’aspettativa di vita in Italia è mediamente più alta rispetto a quella degli altri paesi dell’unione europea.
Il dettaglio
L’Italia ha una mortalità per patologie croniche di 88 unità ogni 100.000 abitanti, contro una media europea di 123. Quindi, 35 morti in meno. La situazione, però, non è omogena. L’aspettativa di vita in buona salute passa dai 61 anni del Nord ai 56 del Sud; se poi facciamo un focus tra il Trentino e la Calabria, vediamo come in Trentino l’aspettativa di vita in buona salute sia di 69 anni contro i 52 della Calabria. Sono 17 anni di buona condizione di salute in meno, da imputarsi alla mancata organizzazione sanitaria.
Ovviare a questo gap
Per capire come sia possibile un simile divario, bisogna guardare ai meccanismi che regolano la funziona sanitaria pubblica. La Calabria, fortemente indebitata, aveva l’obbligo di redigere un Piano di rientro, sottoscritto nel 2009. Gli obiettivi erano equilibrio economico ed erogazione dei Lea (livelli essenziali di assistenza). Sul versante economico, il debito che nel 2009 ammontava a 253 milioni, raggiungeva il 260 milioni nel 2016: dato che ad oggi ha comportato il taglio per la spesa del lavoro dipendente del 12%, e l'aumento dei costi intermedi della produzione ospedaliera del 27%, e l'ulteriormente impoverimento delle prestazioni sanitarie nel territorio. La valutazione comparata dei dati delle prestazioni territoriali (prestazioni specialistiche, riabilitative, protesiche, psichiatriche) rispetto all’andamento nazionale, evidenzia come l’offerta territoriale in Calabria sia stata – mediamente, durante il piano di rientro, inferiore di 2 punti percentuali rispetto al valore medio delle altre regioni. La spesa sanitaria in Italia si attesta al 20,9 % contro il 18.1% della Calabria. Inoltre è mancata la sinergia e l’integrazione tra settore pubblico e sanità privata. Anche l’acquisto annuale ha subito un decremento in percentuale, passando dal 5% allo 0,5%, nonostante nonostante nelle altre regioni abbia avuto un incremento medio del 2%.
Le conseguenze concrete del fallimento
In particolare, questa crisi ha provocato una caduta dei posti letto e dei beni strumentali ospedalieri, ed una contrazione delle risorse umane con conseguente depauperamento culturale per mancato ricambio generazionale. Quanto ai servizi, anche questo versante è stato completamente disatteso: i livelli sanitari di assistenza sono compromessi. Guardiamo ai LEA livelli essenziali di assistenza, ovvero: copertura vaccinale dei bambini e dell’anziano, posti letto per acuzie e post-acuzie, i posti letto per assistenza agli anziani e quelli residenziali socio sanitari (RSA, nucleo Alzheimer, Casa Protette, riabilitazione estensiva), posti letto nei centri diurni, il numero di prestazioni specialistiche ambulatoriali e di risonanza, l’anagrafe animale, la profilassi delle malattie di animali, il controllo dell’alimentazione di origine animale, controllo di contaminanti di origine vegetale. Questi, vengono misurati da valori definiti. E lo Stato considera inadempienti le regioni che non raggiungono il punteggio di 160. Ebbene, la Calabria, partita nel 2009 da 33, nel 2017, data dell’ultima rilevazione, è a 137. Tale inadempienza ha interessato sia il comparto ospedaliero (tagli cesarei, colecistectomia, frattura di femore), che l’assistenza distrettuale quella collettiva.
La percezione dei cittadini
Oggi, la caduta della qualità assistenziale è evidente sia in termini di assistenza medica e infermieristica: nel vitto, nei servizi igienici, e su Vibo anche per il layout ospedaliero. Tanto che oggi il paziente si sposta altrove, verso altre strutture sanitarie, più perchè infouenzato da questa percezione, che per la malattia che lo affligge in se e per se. ne consegue che i dati rispetto alla mobilità sanitaria sono eclatanti: noi abbiamo una mobilità passiva di confine pari a circa 57 milioni di euro. La gente va fuori per la sfiducia di partenza verso il sistema sanitario regionale. E la mobilità passiva è una delle maggiori criticità del sistema sanitario calabrese ma non la sola; anzi, la mobilità passiva incide per il 9% della spesa corrente mentre il 23% della spesa si perde per l’inefficenza.
Invertire il trend
Per invertire questo trend, è necessario mutare la prospettiva culturale delle azioni di cambiamento, creando a tutti i livelli consenso organizzativo. La creazione i tale consenso può vvenire olamente e, oltre a identificare nel modo migliore gli obiettivi concreti l miglior arrangiamento delle risorse disponibili, oltre a distribuire le responsabilità, l’autonomia e il potere che consentono di esercitarle, oltre a mettere a punto gli strumenti di monitoraggio della performance dell’intero istema organizzativo, il management dell’organizzazione ia n rado di sercitare eadership: vvero antenere comportamenti oerenti on alori ondamentali (in sintesi are ciò che si dice… e dire ciò che si fa).
Fine prima parte
* Dal 1 settembre 2019, il dottor Antonio Soccorso Capomolla è il nuovo direttore sanitario del Sant’Anna Hospital. Cardiochirurgo ormatosi a Pavia, città dove ha lavorato per anni. Capomolla ricopre anche l’incarico di direttore della Cardiologia/Utic del S. Anna. Per vent’anni ha lavorato presso l’Unità per lo scompenso cardiaco del Centro Medico di Montescano (PV), è stato direttore dal 2007 del Polo Specialistico Riabilitativo della Fondazione “Don Gnocchi” a Sant’Angelo dei Lombardi (AV) e, dal 2013, direttore sanitario della casa di cura Villa dei Gerani a Vibo Valentia.
Fellow of European Society of Cardiology (FESC), Capomolla è stato insignito nel 2004 della fellowship della Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Nel 2012, il master in Management delle aziende sanitarie alla Bocconi di Milano. Membro della commissione per la stesura delle linee guida di telemedicina, istituita presso il Ministero della Salute, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. L’ultima, Report sanità Calabria dopo il piano di rientro, appena data alle stampe, e presentata al festival letterario Leggere e scrivere di Vibo Valentia. La sua è una analisi impietosa ma ricca di spunti concreti sul cortocircuito che negli ultimi 40 anni ha determinato il disastro della sanità calabrese. Uno scenario a tinte forti, dove «la priorità è recuperare l’etica della leadership».