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Un curriculum politico fitto e anche una biografia “riservata” ora conosciuta, per i due candidati a sindaco di San Ferdinando.
Andrea Tripodi e Michele Oliva non sono propriamente di primo pelo – l’uno è stato due volte primo cittadino, l’altro è stato assessore e più volte consigliere – ma in questi giorni, in vista del turno elettorale straordinario del 13 novembre, i riflettori sono soprattutto accessi su quel che fino adesso, dei due, il grande pubblico non sapeva. Certamente non per via di particolari morbosità da gossip, bensì per il fatto che l’imminente voto è giustamente attenzionato come non mai visto che il piccolo ma strategico centro dell’area portuale è reduce dal terzo scioglimento per mafia del consiglio comunale.
L’ATTENZIONE DI CHI INVESTIGA
E se la storia politica dei contendenti può essere riassunta con poche parole - i due non hanno tessera di partito sebbene abbiano avuto una lunga militanza comunista e derivati (Tripodi) e un abortito impegno nel Pd (Oliva) -, ai tanti osservatori politici e non che in questi giorni accendono i radar sull’urna che si apre, sembrano altri i particolari pubblici da non farsi sfuggire.
Giocoforza, in un quadro politico due anni fa sconquassato dall’operazione antimafia “Eclissi” – che vede ancora sotto processo un sindaco, il suo vice e un consigliere dell’epoca, è inevitabile la domanda che tutti si fanno: l’attualità piena di speranza legalitaria quanto sarà influenzata dalla recente storia che, invece, ha ucciso ogni slancio?
Un conto è il casellario giudiziario dei due sfidanti, che sarà pure pulito – o comunque rispettoso degli obblighi sanciti dalla legge Severino – ma un altro conto è stabilire se i due assetti che cercano il consenso degli elettori hanno almeno i prerequisiti minimi per evitare al paese un altro commissariamento.
IL DEPISTAGGIO CHE NON AIUTA
Da questo punto di vista è già in corso una preoccupante opera di evitamento del tema da parte del candidato Tripodi, che ha affidato ad un quotidiano regionale la seguente dichiarazione: «Il sottoscritto non è stato mai sciolto per mafia». Al netto della sintesi un po’ raffazzonata, perché non si “sciolgono” le persone ma l’organo chiamato consiglio comunale e a cascata le cariche, l’affermazione dell’ex sindaco autorizza ad un surplus di analisi, memoria e verifica che agli osservatori – siano essi anche investigatori – sta sembrando il caso di intensificare. E, del resto, nella storia recente degli scioglimenti (due tra il 2009 e il 2014) ai sindaci sanferdinandesi non hanno mai portato fortuna certe esternazioni affrettate.
Domenico Madafferi, prima di essere “sciolto”, si era prodotto in un lungo battage mediatico descritto nella Relazione della commissione d’accesso, stilata nel marzo 2009, mentre il suo predecessore Francesco Barbieri oggi è ancora ricordato per il suo tentativo di far intendere, dalle colonne dei giornali, che quella consiliatura era finita anzitempo per le dimissioni in massa della sua maggioranza, mica per ciò che avevano scritto i commissari nelle 286 pagine che indussero il ministro Maroni a “scioglierli” per mafia.
DUE CANDIDATI ESPERTI DI SCIOGLIMENTI
Detto che all’ombra dei municipi opachi come quello di San Ferdinando i rapporti fra politica e opinione pubblica mediati dalla stampa vanno maneggiati sempre con migliore cura, quindi, è il caso di sviscerarla questa “biografia riservata” che accomuna Tripodi a Oliva. Quest’ultimo ha fatto parte di due consigli comunali sciolti per mafia, nel 2008 era tra i banchi della maggioranza e nel 2014 tra quelli dell’opposizione; ma anche il suo avversario ha avuto questa sorte e nel 2008 faceva parte del civico consesso come consigliere di minoranza. Hanno esperienza entrambi, quindi, della delicatezza del tema “condizionamento mafioso” da non confondere col tema “rilievo penale della condotta”: il primo compete alla prefettura, il secondo alla Procura.
(Michele Oliva)
Tripodi e Oliva, fra l’altro, sono ripetutamente citati nella Relazione della commissione d’accesso che determinò la fine anticipata di quella sindacatura, e il loro ruolo non sembrò affatto marginale ai commissari: anche sul loro conto note e segnalazioni, informative e verbali di servizio confluirono nella Relazione prefettizia che preparò la fine anticipata della consiliatura all’epoca guidata dal sindaco Francesco Barbieri. E se sul conto di quest’ultimo, cugino dell’ex parlamentare Paolo Romeo e fratello dell’ingegnere Domenico Barbieri – due degli arrestati dell’operazione antimafia Reghion – molto si seppe, essendo descritto nel decreto di scioglimento proposto dal ministro Maroni, nulla fino ad oggi era trapelato riguardo agli odierni sfidanti.
Tripodi e Oliva finirono in quelle carte e non sono pochi gli spunti, o le pagine, che parlano di loro pur essendo in quella fase figure politiche certamente di primissimo piano ma non di comando: il primo era “solo” un consigliere di minoranza, l’altro era di maggioranza ma si era visto sbarrate le porte per l’ingresso in giunta.
Nel caso di Oliva nulla di penalmente rilevante, sia chiaro; mentre sul conto di Tripodi, in seguito, non si è saputo di eventuali esiti giudiziari circa un gravissimo addebito penale riferito nell’atto della Commissione d’accesso.
Ma è indubbio che, nel chiedere e ottenere lo scioglimento di quel civico consesso, anche le informazioni sul conto dei due politici finirono per pesare vista la dovizia di particolari con cui vennero annotate, allo scopo di dimostrare che altissima era la pervasività delle ‘ndrine in quell’assemblea e, nel caso di Oliva, che il malcostume imperava nel municipio.
IL SINDACO DENUNCIATO PER MAFIA
Nella sezione titolata “vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia o di affari e frequentazioni”, si legge infatti che Andrea Tripodi «risulta essere stato denunciato, nell’anno 2002, in concorso con altre persone, poiché ritenuti tutti responsabili del reato di associazione a delinquere di stampa mafiosa finalizzata al controllo dell’attività politico amministrativa del Comune di San Ferdinando ed al condizionamento delle attività produttive e imprenditoriali, nonché la gestione delle assunzioni presso le società operanti nel territorio del Comune. È stato denunciato – proseguiva la Relazione – nel 2000 dalla Capitaneria di porto (inquinamento delle acque, ndr)». Non è escluso che quella denuncia si riferisca al periodo nel quale dentro la
(Andrea Tripodi)
stanza dell’allora sindaco Tripodi avvenne il ritrovamento di una cimice piazzata dagli investigatori, ovvero nella stessa fase in cui proprio Oliva era uno degli assessori di quella giunta attenzionata ma non “sciolta”.
LA FAMIGLIA PER OLIVA
Anche Oliva a parere dei commissari, però, avrebbe avuto delle controindicazioni specifiche per il fatto che, da cognato di un lavoratore socialmente utile arrestato per truffa, lo «ha più volte difeso a mezzo stampa, affermando che la decisione del comune di costituirsi parte civile nel procedimento penale sarebbe ingiusta ed eccessiva». Ma le informazioni contenute in quel datato ma prezioso documento non sono incentrate solamente su sospetti più o meno generici di una certa “disponibilità” a favorire forme di continuità tra la propria attività politica e interessi potenzialmente illeciti.
LA “FAMIGLIA” PER TRIPODI
Nel caso di Tripodi, infatti, viene annotato con nome e cognome un lungo elenco di sottoscrittori della sua lista con cui l’odierno candidato aveva tentato di strappare la carica di sindaco a Barbieri, non riuscendoci. «Dalla disamina effettuata – si legge nel documento – emergono numerosi e significativi collegamenti, molti dei quali di carattere parentale, con la cosca mafiosa denominata Pesce: pertanto ben 12 sottoscrittori della lista (di Tripodi, ndr) risultano collegabili ad una cosca mafiosa particolarmente significativa della Piana. Molti degli altri sottoscrittori pur non direttamente imparentati con la famiglia Pesce risultano indirettamente collegati in quanto parenti di parenti». Il computo dei sostenitori di Tripodi in quella tornata vinta dal suo avversario non è marginale.
Basti pensare, infatti, che i commissari che agirono dopo la nomina del prefetto Francesco Musolino ritennero «particolarmente determinante» il profilo personale di chi aveva firmato a sostegno pure di quella candidatura poi perdente, al punto da considerare quei fatti e quella modalità indifferente al contesto criminale della zona come «elementi che indicano l’esistenza di un interesse specifico delle cosche locali verso l’amministrazione comunale di san Ferdinando».
CONSIGLIO FRAGILE, CLAN FORTI
Vi sono altri passaggi che spiegano come, indipendentemente dal ruolo che si ricopre, l’ombra nera dei clan su un Consiglio si può manifestare con diverse sfumature. «In questo Comune – concludevano infatti i commissari proponendo e ottenendo lo scioglimento per mafia di un consesso formalmente già decaduto – all’interesse specifico delle cosche si è accompagnata un’assenza di attività significativa del consiglio comunale non solo come stimolo verso la crescita delle realtà territoriale, ma anche rispetto ai propri compiti istituzionali». Quella in questione era l’assemblea sciolta dopo neanche un anno di mandato, a cui il sindaco Barbieri aveva abdicato per «ragioni di salute» e il suo sfidante sconfitto Tripodi per motivi politici mai chiariti, scegliendo di non presentarsi mai alle sedute, al contrario dei due consiglieri del suo gruppo che, paradosso, erano anch’essi citati con precisione nella Relazione come leader di una lista che, beffardamente, si chiamava “Viviamo San Ferdinando”.
Agostino Pantano