La morte del padre e un intervento chirurgico da lei subito sono i traumi che l’avrebbero spinta prima a illudersi di essere incinta e poi a trasformarsi poi in sequestratrice di neonate, quando a casa sua è arrivata la polizia lei aveva già chiamato i carabinieri
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Vi stavamo chiamando». Il 21 gennaio, intorno alle 22.30, familiari di Rosa Vespa si ritrovano i poliziotti all'uscio e li affrontano così. Dopo aver realizzato che la bambina che hanno in casa è proprio Sofia, hanno deciso di telefonare ai carabinieri. A chiamarli, in quel momento, è proprio Rosa dal suo cellulare. L'arrivo degli agenti della Mobile accelera i tempi. La farsa è ufficialmente finita. Per nove mesi, Rosa Vespa ha ingannato tutti, ma soprattutto ha ingannato sé stessa. Sarà proprio lei, in seguito, a spiegare al giudice la genesi della vicenda: tutto parte da un ritardo mestruale.
A maggio del 2024, Rosa Vespa non ha il ciclo da due mesi e così crede di essere incinta. Non esegue alcun accertamento specifico, teme un responso contrario. E così si convince di aspettare un bambino. Si aggrappa a quell'illusione sulla scorta di un doppio trauma: la morte di suo padre, avvenuta un anno e mezzo prima, l'ha gettata nello sconforto più profondo; un intervento chirurgico, invece, la ferita nel profondo. «Mi sentivo donna a metà» arriverà a dire al giudice durante l'interrogatorio. E così, si aggrappa disperatamente a un'idea per lei salvifica: che dentro di lei ci sia ancora vita. E che vita, quella di un bambino.
La morte della madre di Moses, avvenuta sempre a maggio, induce suo marito a fare ritorno nel suo Paese natio, dove si tratterrà per i tre mesi successivi. Forse, se fosse rimasto accanto a lei si sarebbe reso conto che quella di sua moglie era solo un'illusione, che dietro non c'era alcun test di gravidanza positivo né il responso di un ginecologo. La malasorte, però, ci mette del suo. Rosa Vespa era davvero convinta di essere in dolce attesa, questo almeno è ciò che sostiene lei; ma in quei giorni, anche il suo corpo sembra darle ragione.
Il suo ventre s'ingrossa e dal petto sgorga qualcosa di simile al colostro. Sua madre grida al miracolo, lei e Moses, nel frattempo rientrato dall'Africa, assistono all'estrazione del latte materno. Nessuno ha dubbi: a quasi cinquant'anni, Rosa Vespa è in attesa di un bambino che si chiamerà Ansel, in omaggio al nonno materno deceduto anzitempo.
Cosa sia accaduto al suo organismo, saranno i medici a tentare di stabilirlo. Cosa accadrà in seguito alla sua mente, invece, è materia per psichiatri. Non è chiaro, infatti, quando Rosa Vespa si renda finalmente conto che nel suo presente non c'è una maternità. Di certo, è da quel momento in poi che la realtà virtuale vira verso la fantasia. La donna comincia a strutturare la menzogna. Aggiunge un tassello al giorno tra ecografie, foto, messaggi, documentazione clinica; tutto falso, tutto inventato. La bugia cresce a dismisura, diventa una tigre, e invece di abbatterla, Rosa continua a cavalcarla.
Fino al giorno del redde rationem, quando improvvisa prima il rapimento di Sofia e poi, tre ore più tardi, prende in mano il telefono e compone il 112 con l'intenzione di arrendersi. I poliziotti raccontano che al loro arrivo in via Almirante, a Castrolibero, alla disperazione chiassosa dei presenti faceva da contraltare quella silenziosa della padrona di casa, chiusa nel suo mutismo impenetrabile. Gli angoli della bocca rivolti verso il basso sono sempre il segnale della sconfitta.