I dati spiegati dal segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio che si sofferma poi sul problema dei reclusi psichiatrici «dei quali non si fa carico il Servizio sanitario nazionale». Il detenuto che ha scatenato la rivolta era stato prima allontanato e poi riportato nell’istituto del capoluogo di regione (ASCOLTA L'AUDIO)
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il problema delle carceri calabresi non è il sovraffollamento. I dodici istituti di pena della regione (quelli per adulti, senza quindi considerare l’Istituto minorile di Catanzaro) possono ospitare fino a 2.704 detenuti. «Gli ultimi numeri a nostra disposizione – spiega il segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio – dicono che negli istituti calabresi sono ristrette 2.662 persone. Quindi in Calabria il problema del sovraffollamento non esiste. È esistito in passato, anche se in misura ridotta rispetto al resto del Paese, sicuramente non esiste oggi». Un luogo comune, dunque, che diventa facile alibi per distrarre dalla reale natura dei problemi che investono le carceri calabresi?
La rivolta nel carcere di Catanzaro
Morti che si potevano evitare, suicidi tentati o consumati, risse, rivolte… Perché? Cos’è successo nella casa circondariale di Catanzaro? Cos’ha scatenato la guerriglia tra i reclusi di due sezioni, protagonisti di uno scontro animato da inaudita violenza e sentimenti xenofobi che solo la prontezza dei pochi agenti sul campo ha impedito dilagasse nel resto carcere? Quello del capoluogo di regione è una metafora di quanto malato sia il sistema penitenziario. Sono stati circa 50 i detenuti coinvolti ieri pomeriggio nella rivolta. Sono quattro gli agenti che hanno dovuto fare ricorso alle cure dei medici in ospedale per le contusioni riportate negli scontri, ma non si tratta di ferite gravi. I detenuti feriti sono stati medicati nella struttura.
Su 640 detenuti, sono solo 344 di agenti assegnati. «Un problema enorme – sottolinea De Fazio – che si aggiunge alla maggiore criticità che ravvisiamo in questo istituto, ovvero la gestione dei reclusi affetti di natura psichiatrica, dei quali non si fa carico il Servizio sanitario nazionale e che vengono affidati alle cure, se così si può dire, dei pochi agenti a disposizione che, ovviamente, non hanno una preparazione medica adeguata. E poi succede quel che è successo…».
Un detenuto malato
Sarebbe stato infatti un detenuto affetto da turbe psichiche, già protagonista di analoghe intemperanze in passato, anche in altre carceri italiane, a dare il via alla rivolta dei giorni scorsi. «Da quanto ci risulta – spiega De Fazio – per violenze analoghe era stato allontanato in passato a Catanzaro e, paradosso tra i paradossi, lo si è riportato proprio qui, che è forse la struttura meno indicata, essendo presenti circa 80 detenuti psichiatrici abbandonati a se stessi unitamente a pochissimi agenti chiamati a governare questa situazione».
Realtà e fabbisogno
Insomma, parlare di «un sovraffollamento che non esiste» distoglie l’attenzione dalla reale natura del problema che investe i penitenziari in Calabria, terra di frontiera che, al netto dei problemi strutturali, i quali aggravano ovviamente il malcontento della popolazione carceraria e alimentano le tensioni, sconta un gap anche tecnologico per «prevenire situazioni indesiderate, come l’ingresso nelle celle di cellulari, droga o addirittura armi».
Insomma, fare il poliziotto penitenziario, a queste latitudini, è dura. Il personale addetto solo alla gestione delle case circondariali, quindi al netto di quanti si occupano di questioni meramente amministrative, dovrebbe contare su 1.991 unità, almeno secondo un Decreto ministeriale del 2017. «Abbiamo dalle 300 alle 400 unità in meno, è un dato drammatico», evidenzia De Fazio. Senza considerare che nel 2019 una task force istituita dal dicastero alla Giustizia aveva rivisto quella previsione organica, ritenendo che in Calabria fossero necessarie non 1.991 unità ma ben 2.440.
I detenuti sine titulo
La ministra guardasigilli Marta Cartabia, rispondendo alle interrogazioni parlamentari, spiega come attraverso il Recovery Fund sarà possibile intervenire sul sistema strutturale. Più che nuovi padiglioni, però, servirebbero altre politiche. «Ricordo un intervento parlamentare della ministra, che dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia, perché un detenuto è stato trattenuto illegalmente in carcere – spiega il segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria – ha riferito che oggi i detenuti sine titulo, ovvero quelli che non devono stare in carcere ma che vengono lasciati in carcere perché non esistono altre strutture in grado di accoglierli, attualmente sono 35. Esprimeva soddisfazione la ministra Cartabia, perché sottolineava che in passato si era arrivati a 95 detenuti, nelle carceri italiane, che lì non dovevano starci. Era soddisfatta, la ministra. Mi chiedo come si faccia a manifestare soddisfazione. Anche se solo una, una persona, fosse trattenuta illegalmente in un penitenziario questo rappresenterebbe la negazione dello stato di diritto».