Ad Avetrana, dove le telecamere non dovrebbero più arrivare, zio Michele continua la sua vita indisturbata. Ma tra una serie tv e l’ossessione per i crimini famosi, il paese sembra voler coprire la realtà con lo show
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Ad Avetrana, tutto sembra essere rimasto come nel 2010. Case basse, teli neri a coprire i cancelli della villetta degli orrori e un silenzio che, invece di essere liberatorio, si fa sentire come un macigno. Ma non è solo la memoria di Sarah Scazzi ad essere sepolta nel buio di un pozzo. Qui, a 14 anni dal delitto che ha sconvolto l’Italia, Michele Misseri è ancora al centro dell’attenzione, anche se nessuno sembra volerlo ammettere. "È un brav'uomo", dicono a chi chiede di lui, quasi a voler scacciare via il ricordo di quello che ha fatto: occultare il corpo della nipote e rilasciare versioni contrastanti, cercando di riscrivere la tragedia.
C'è qualcosa di profondamente disturbante in questo appellativo "brav'uomo". Come può essere considerato tale chi ha nascosto il cadavere di una ragazzina di 15 anni? Chi, pur non essendo mai stato creduto dagli inquirenti, ha cercato di autoaccusarsi di molestie e violenza su un corpo senza vita? Eppure, Michele Misseri gode di una protezione silenziosa, fatta di vicini che lo salutano con educazione quando esce la mattina col trattore e lo difendono dalla curiosità morbosa dei visitatori. "Non disturbi lo zio Michele", si raccomandano con i giornalisti, quasi fosse una celebrità infastidita dai paparazzi.
A differenza di quanto affermato nel titolo della nuova serie Disney+ “Avetrana - Qui non è Hollywood”, il paese sembra essersi trasformato proprio in una Hollywood dell'orrore. Il turismo del macabro non si è mai fermato: auto che rallentano per scattare foto ai luoghi della tragedia, mentre qualcuno, con discrezione o meno, cerca di immortalare il garage dove la quindicenne è stata uccisa. Non si tratta solo di un interesse per la cronaca nera: è il fascino perverso di un luogo che ha visto accadere uno dei delitti più sconvolgenti della storia recente italiana.
Zio Michele, nel frattempo, continua a vivere la sua vita: tra giardinaggio e lavoro nei campi, protetto dal silenzio complice di una comunità che preferisce non fare domande, che accetta la sua presenza senza mai davvero fare i conti con ciò che rappresenta. Anche il sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi, ha confermato che l'amministrazione sta valutando l'idea di un'ordinanza per limitare il traffico davanti alla casa di Misseri, giustificata come una "tutela per i residenti". Ma la domanda è: chi si vuole proteggere davvero?
E poi c'è il grande schermo, o meglio, lo schermo delle nostre televisioni e piattaforme streaming, che non smette di attingere dalle storie più oscure della cronaca italiana. Avetrana non è certo l'unica a tornare sotto i riflettori grazie a una serie tv. L'infotainment, quella miscela tra informazione e spettacolo, ha trasformato i fatti di cronaca in show ad alto contenuto emotivo. La serie su Sarah Scazzi è solo l’ultimo esempio di un fenomeno che ha visto protagonisti, tra gli altri, anche casi come quello di Yara Gambirasio e la strage di Erba.
Nel caso di Yara, ad esempio, Massimo Bossetti – condannato in via definitiva per l’omicidio della giovane – viene ritratto come un innocente vittima di errori giudiziari, una sorta di "angelo caduto" imprigionato ingiustamente. Stessa sorte per Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba. Attraverso programmi sfacciatamente partigiani come Le Iene, questi protagonisti delle pagine più nere della cronaca italiana – all’ergastolo, rei confessi del massacro di tre vicine di casa e di un bambino di due anni – vengono presentati come eroi sfortunati, "brave persone" (ecco l’orrendo termine che ritorna) in balia di un sistema che li ha travolti.
Queste docufiction e programmi di infotainment non cercano necessariamente la verità, quanto piuttosto lo spettacolo. Il termine stesso lo racconta "infotainment", ovvero informazione + intrattenimento. Come se ci si potesse intrattenere sul sangue delle vittime. La cronaca qui si mescola alla finzione, i dettagli vengono esasperati, e la realtà – quella cruda e dolorosa – viene relegata in secondo piano. Perché la verità, nella sua fredda semplicità, non vende. La ricostruzione di questi casi, fatta con toni drammatici e colpi di scena degni delle migliori soap opera, ha l'effetto di riscrivere la percezione collettiva di questi crimini.
E così, mentre Avetrana cerca di nascondere il suo passato sotto teli neri, il resto del paese, e del mondo, si prepara a rivivere quella storia davanti allo schermo armato di birra e pop corn. Ancora una volta, la verità sarà sepolta sotto strati di narrazione spettacolare, proprio come il corpo di Sarah fu nascosto in quel pozzo buio. Hollywood c’è, eccome. Ma non è dietro le colline di Los Angeles: è qui, in Puglia, a due passi da un mare che scorre indifferente, mentre il passato si ripete sul piccolo schermo.
Ma perché questo bisogno di riscrivere il dolore? La cronaca sembra ormai la nuova fonte d'ispirazione per quel mix di informazione e intrattenimento che spettacolarizza le vite spezzate.
Di recente, proprio l’ennesimo tentativo di appello di Olindo e Rosa – arrivato sull’onda dell’emozione data da una serie di puntate delle Iene sfacciatamente a loro favore - è stato respinto, con una motivazione che non lascia spazio a interpretazioni: "L'istanza è manifestamente inammissibile, esaurendosi nella ripetizione, alla luce delle nuove acquisizioni (che, come si è visto, tali non sono) e nella prospettiva della falsità della prova, di doglianze già sviluppate nei precedenti gradi di giudizio e in sede d'incidente di esecuzione." Non ci sono complotti, né nuove prove. La storia è quella che è stata già raccontata nei tribunali, ma il racconto televisivo cerca di riscrivere tutto.