Dal primo settembre gli asili nido della Calabria hanno potuto riaprire le loro strutture. Triage all’ingresso, igienizzazione delle mani e degli zaini e sala covid per un eventuale isolamento. La ripartenza a scartamento ridotto costringe i gestori a dimezzare i posti disponibili, mentre aumentano i costi di gestione.   

Le “bolle”

Secondo le disposizioni nazionali, i bambini devono essere divisi in “bolle”, ovvero in gruppi composti sempre dagli stessi alunni ed educatori per individuare più facilmente eventuali contagi. Una modalità che però all’atto pratico si scontra con diverse criticità. A confondere, anche la difficoltà da parte dei pediatri di poter distinguere i sintomi influenzali stagionali da quelli da Coronavirus e permettere o meno l’accesso del bambino nella struttura.

 

«Noi nasciamo come servizi flessibili con orario prolungato – ha spiegato Cinzia Blefari, titolare di una struttura privata di Rende (Cs) – e per esigenze lavorative dei genitori, spesso i bambini vengono anche di pomeriggio. Come possiamo noi garantire che quel bambino abbia sempre lo stesso gruppo e la stessa educatrice se quest’ultima può fare non più di otto ore al giorno? Questo rischia di essere davvero un limite per le strutture. Così come, ad esempio, per gli ausiliari che si occupano della pulizia dei vari spazi e delle diverse bolle: dovremmo avere un ausiliare per ogni gruppo?».

Nasce un Comitato

Le linee guida nazionali contenute nell’ordinanza regionale non convincono i gestori delle strutture calabresi, che in queste settimane hanno costituito il “Comitato Calabria servizi educativi 0-6”, che conta oltre cento iscritti, per poter chiedere alla Regione un tavolo di confronto sulle problematiche riscontrate ed un affiancamento da parte delle Asp.

 

Cinzia Blefari è tra le fondatrici del Comitato regionale e referente del Comitato nazionale “Educhiamo” per la Calabria: «È importante – ha spiegato la Blefari - poter avere un affiancamento dall’Asp piuttosto che un servizio di mera vigilanza. Noi vorremmo avere supporto nell’implementazione di queste disposizioni, nell’individuazione del rischio biologico. È necessario creare un grande clima di fiducia e collaborazione con le famiglie perché siamo stati penalizzati tantissimo»

L’appello alla Regione 

La Blefari ha anche spiegato che «la categoria non ha ricevuto alcun aiuto economico per la chiusura delle attività perché non rientrava in nessuno dei settori per i quali è stato previsto un sostegno finanziario». «I costi sono aumentati del 200 per cento – ha concluso -, ma i posti disponibili per i bambini sono diminuiti del 50% per consentire il distanziamento all’interno dei locali. La referente del Comitato chiede dunque alla Regione che vengano almeno utilizzati i fondi per i servizi educativi che sono fermi dal 2017 e che potrebbero dare una boccata d’ossigeno alle strutture.