La potenza storica di “Rinascita Scott” non è nei numeri (oltre 300 arresti, 475 indagati, decine di migliaia di pagine tra misure restrittive e richieste cautelari, una discovery di atti da milioni di file) ma è nei suoi contenti. È nei profili, è nelle vicende criminali che essa racconta e che offrono uno spaccato dell’evoluzione di una ’ndrangheta che non è più quella dei riti arcaici, della Mamma di San Luca e della Madonna di Polsi.

Il “papa” e i “cardinali”

Quella raccontata dal pool di Gratteri – grazie ad un lavoro formidabile messo in campo in particolare dall’Arma dei carabinieri – è un po’ come una Chiesa. Il “papa” è Luigi Mancuso, ovvero colui che Giancarlo Pittelli – ex parlamentare, penalista di grande prestigio, massone ritenuto borderline e presunta cinghia di trasmissione tra ‘ndrangheta e variegate lobby di potere – indica come il capo mafia «più potente», più influente, benché più giovane, perfino di don Peppino Piromalli. E Pittelli, non lo si deve dimenticare, è stato l’avvocato difensore di entrambi, cioè di Piromalli e Mancuso, «fin dal 1981». C’è il “papa” e ci sono i “cardinali”. Il loro nomi gettati così - nel profluvio di inchiostro utile a raccontare le dimensioni di un’indagine più vasta perfino di “Crimine”, di “Infinito” e di “Minotauro”- oltre i confini della Calabria dicono poco. Ma sono proprio loro, i “cardinali”, con le loro storie, a fare la differenza. 

L’eminenza del crimine

Saverio Razionale, ad esempio, è una eminenza del crimine organizzato, il cui schizzo potrebbe ispirare la scrittura di un nuovo romanzo criminale. Proviene da San Gregorio d’Ippona, piccolo centro a vocazione agricola del Vibonese. Partito da un contesto di furti di bestiame, faide paesane, agguati di campagna, lupare bianche, grazie ad una intelligenza finissima e ad una particolare verve per gli affari, tra la Calabria e Roma ha costruito un impero. I figli hanno studiato (uno di questi  è divenuto anche medico ed è estraneo alle vicende delinquenziali che hanno caratterizzato la vita del padre). Razionale è quindi la metafora dell’evoluzione darwiniana del crimine organizzato calabrese, da una malavita coppola e lupara, a fuoriserie, beni di lusso, soldi e potere.

“Talea”, storia di un processo

Pluripregiudicato, gran parte della sua vita s’era svolta nella Capitale, dov’era finito al centro di un’indagine istruita da Piazzale Clodio partendo dagli affari di un altro clan vibonese, quello dei Bonavota. L'aveva curata la Direzione investigativa antimafia, con il coordinamento di due pubblici ministeri, uno era Luca Palamara – da accusatore divenuto, oggi, accusato per le note vicende che non hanno risparmiato Anm e Csm – l’altro era Maria Cristina Palaia, toga di grande valore, oggi in servizio alla Direzione nazionale antimafia. Un’inchiesta lunga e complessa, denominata “Talea”. Inchiesta lunga e laboriosa sì, ma da essa scaturì un processo,  che per il boss finiva subito, sin dall’udienza preliminare, che decretava nove assoluzioni ed un non luogo a precedere. Saverio Razionale, per la presunta intestazione fittizia dei suoi beni, era il principale imputato. Il verdetto è dell’11 maggio 2018, dopo una requisitoria nella quale il pm chiedeva – esclusa l’aggravante mafiosa, che avrebbe accorciato così i termini di prescrizione - il non doversi procedere per gran parte dei capi di reato e, per uno solo, l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Nei motivi della sentenza, veniva sostanzialmente demolita la portata probatoria dell’indagine condotta dalla Dia capitolina che aveva indotto in prima battuta la Procura a chiedere il rinvio a giudizio degli imputati.

Il processo «manovrato»

Su questa sentenza, è lo stesso Saverio Razionale a raccontare la sua verità. È il 13 giugno 2018, un mese dopo il verdetto del gup di Roma. I carabinieri del Ros, delegati da Nicola Gratteri, hanno inoculato uno spyware sul cellulare di Giancarlo Pittelli, divenuto così una microspia perennemente accesa. Sono le 12.32 ed il penalista catanzarese si trova assieme a Luigi Mancuso e Saverio Razionale. «Ho vinto il processo a Roma – dice Razionale – e l’ho vinto… “Talea”». Pittelli: «Chi ti ha difeso?». Razionale: «Eh… Mi ha difeso Stilo… E basta… Ma lì l’ho manovrato il processo, era chiaro…». Pittelli mormora e il boss abbassa la voce: «Ma lì l’ho manovrato il processo, perché ho trovato il pubblico ministero… Il pubblico ministero mi ha difeso per un’ora e venti…». Pittelli: «Chi era il pubblico ministero?». Razionale: «Uno di Roma…». E Pittelli chiede: «Nardi?». Razionale, non dice “sì”, neppure “no” ma ripete: «Un’ora e venti mi ha difeso…».

Chi è Nardi?

Perché Pittelli fa subito proprio il nome di Nardi davanti a quello che gli viene prospettato come un evidente “aggiustamento processuale”? Chi è Nardi? Allora – lo ricordiamo, siamo nel giugno del 2018 – Michele Nardi era un magistrato in servizio alla Procura di Roma. Solo sei mesi, Nardi dopo sarebbe finito sulle cronache di tutti i giornali: il suo nome in testa all’epigrafe dell’ordinanza d’arresto firmata dal gip di Lecce Giovanni Gallo, che accoglieva una richiesta della Procura salentina che indagava su una presunta associazione a delinquere, corruzioni giudiziarie e falsi che avrebbe visto protagonista proprio il pm romano per fatti legati alle sue vecchie funzioni di gip a Trani.

Quella stessa ordinanza del gip di Lecce – come l’intero carteggio giudiziario relativo al procedimento “Talea” – oggi è agli atti anche dell’inchiesta “Rinascita”, che attende per la prossima settimana, come annunciato ieri in Commissione antimafia dal procuratore distrettuale Nicola Gratteri, la notifica di 475 avvisi di chiusura delle indagini.