Persa la faida con i Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona ed ucciso a Pizzo nel 1988 Francesco Fortuna, alias “Cicccio Pomodoro”, il clan Lo Bianco-Barba è diventato “satellite” del clan Mancuso sulla città di Vibo Valentia. Andrea Mantella non ha risparmiato dettagli importanti per far comprendere al meglio le dinamiche criminali della ‘ndrangheta vibonese e, nel corso del maxiprocesso Rinascita-Scott, di episodi che testimoniano il rapporto fra i due clan ne ha citati diversi.

«Antonio Mancuso, fratello di Luigi Mancuso, è uno ‘ndranghetista ad altissimi livelli – ha dichiarato il collaboratore – con rapporti massonici deviati. È stato lui a prendere sotto la sua ala protettiva Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni. Io stesso portavo nella mia copiata mafiosa il nome di Antonio Mancuso. Anche Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta, aveva rapporti importanti con i Lo Bianco e rappresentava la parte diplomatica della famiglia insieme a Luigi Mancuso. Enzo Barba, invece, dopo essere stato umiliato da Peppe Mancuso, si legò proprio a quest’ultimo ed a Luni Mancuso, detto l’Ingegnere, fratello di Peppe Mancuso. Lo stesso nipote di Enzo Barba, cioè Pino Barba, detto Pino Presa, è compare con Pantaleone Mancuso l’Ingegnere, mentre Enzo Barba si preoccupava di far ottenere la patente ai figli di Peppe Mancuso, così come di pagare loro gli avvocati. Tale situazione di sottomissione ai  Mancuso – ha spiegato Mantella – comportava anche che il 3% dei proventi estorsivi incassati dai Lo Bianco sulla città di Vibo andassero ai Mancuso».

La rapina al Circolo dei Nobili di Vibo

A riprova dei rapporti fra il clan Lo Bianco ed i Mancuso, Andrea Mantella ha quindi ricordato uno specifico episodio. «Una sera al Circolo dei Nobili di Vibo vennero rapinati Ugo Bellantoni e Santo Lico. Ricordo che a Bellantoni era stato sottratto un orologio con un particolare simbolo massonico. Io – ha spiegato il collaboratore – mi sono impegnato a fargli riavere l’orologio su incarico di Carmelo Lo Bianco ed Enzo Barba. A portarsi a casa di Carmelo Lo Bianco e del figlio Paolino per recuperare tale orologio era stato Antonio Mancuso. A Bellantoni non interessavano i soldi, ma voleva indietro l’orologio. Io riuscì a recuperarglielo perché la rapina era stata fatta da Domenico detto Yuppidu, un tossicodipendente di Vibo. In cambio dell’orologio gli diedi l’eroina. Questa rapina avvenne tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 e ricordo che tutti erano contenti della restituzione dell’orologio e anche Antonio Mancuso mi ringraziò».

L’alleanza con i Bonavota e l’idea di uccidere Carmelo Lo Bianco e Palumbo

Andrea Mantella è passato poi a svelare alcune strategie criminali orchestrate per “controllare” il clan dei Piscopisanitraditi anche da Saverio Razionale in un “gioco” di inganni e false alleanze. Tutto ha inizio con l’intenzione di Andrea Mantella e dei Bonavota di Sant’Onofrio di ribellarsi allo strapotere dei Mancuso creando autonomi clan capaci di gestire in esclusiva il proprio territorio e non solo. Il tutto con la “benedizione” del boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, definito da Mantella come una sorta di “Papa della ‘ndrangheta”. Nei progetti di Andrea Mantella, anche l’eliminazione del suo capo Carmelo Lo Bianco. 

«Non l’ho ucciso – ha dichiarato il collaboratore – solo perché non si è presentata l’occasione. Con il figlio Paolino ho avuto invece sempre un rapporto contraddittorio. In ogni caso, uscito dal carcere, mi sono alleato con i fratelli Bonavota di Sant’Onofrio, Pasquale, Domenico e Nicola e con il loro zio Domenico Cugliari, detto Micu i Mela. Con i Bonavota c’era Francesco Fortuna, un tiratore scelto, a cui io mi sono affidato per gambizzare mio cognato Antonio Franzè, detto Niuccio, il quale mi denigrava per Vibo Valentia dicendo che avevo una relazione con mia cognata, la moglie di mio fratello che però da lui si era separata. Francesco Fortuna sbagliò a sparare colpendo mio cognato alle spalle invece che alle gambe. Insieme ai Bonavota – ha ricordato Mantella – ho invece commesso gli omicidi di Domenico Di Leo a Sant’Onofrio e di Raffaele Cracolici, boss di Maierato. Fra i Bonavota ed i Mancuso non ci sono stati mai grandi rapporti, tanto che nel corso della faida di Sant’Onofrio degli anni ’90, i Mancuso ed i Fiarè appoggiavano ai Petrolo ed ai Matina. Usciti vincenti dalla faida, i Bonavota hanno stretto un’alleanza con gli Anello di Filadelfia ed in quel periodo abbiamo iniziato a pedinare Michele Palumbo per ucciderlo. Michele Palumbo faceva l’assicuratore ma in realtà era il factotum di Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, per la zona delle Marinate. Alla fine lui è stato ucciso dai Piscopisani, ma già tempo prima i Bonavota lo volevano morto».
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