IFrancesco Pataniacontroesame del collaboratore di giustizia Andrea Mantella al maxiprocesso Rinascita Scott prosegue con un’altra tappa cruciale: le domande dell’avvocato Sergio Rotundo, difensore dell’imprenditore di Vibo Valentia Francesco Patania, detto “Cicciobello”, detenuto nel carcere di Taranto e accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso (clan Lo Bianco). Patania è stato assolto in primo grado nell’ambito del processo nato dall’operazione antimafia “Nuova Alba”, dove era imputato per concorso in estorsione. E’ stato quello il processo che ha riconosciuto, con un giudicato confermato dalla Corte di Cassazione, l’esistenza del clan Lo Bianco-Barba egemone su Vibo Valentia. L’assoluzione dell’ex vicepresidente della Vibonese calcio non è stata appellata dalla Procura generale, divenendo così definitiva. È da qui che parte la difesa. Per il collaboratore, che nel corso dell’esame aveva inserito il noto costruttore nella sua «copiata mafiosa» all’atto della sua affiliazione alla ‘ndrangheta, Francesco Patania  (nella foto a sinistra) avrebbe pagato «50.000 euro all’avvocato Giancarlo Pittelli» per «farla franca» dal processo “Nuova Alba”. Affermazioni che il legale di Patania – l’avvocato Sergio Rotundo – ha tentato di minare in radice alla luce della scansione del percorso giudiziario che vide protagonista l’imputato proprio nel processo Nuova Alba.

«Patania – ha spiegato l’avvocato Sergio Rotundo – all’epoca è stato sottoposto a misura custodiale, poi annullata dal Tribunale del Riesame e la Procura non ha presentato all’epoca ricorso. In seguito è stato addirittura assolto dal gup Battaglia e, anche in questo caso, la Procura non ha appellato. Di più – evidenzia il penalista –, il presunto concorrente del reato di Patania, ovvero Antonio Mancuso, considerato figura apicale dell’omonimo clan di Limbadi, è stato definitivamente assolto all’epilogo dei tre gradi di giudizio. Per logica – chiosa l’avvocato Rotundo – quanti giudici avrebbe dovuto corrompere?». Domanda retorica per la difesa che ha prosegue il suo controesame affrontando altri temi.Dalla presunta “talpa” all’interno dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo – ovvero Antonio Ventura, imputato nel maxiprocesso – ai lavori di Francesco Patania nel villaggio turistico, all’epoca in costruzione a Pizzo, di proprietà degli imprenditori Stillitani, Andrea Mantella ha fornito ulteriori dettagli sulla vicenda. In ordine, invece, alla società Vibo Calcestruzzi, Andrea Mantella ha ribadito che quale socio occulto nella società c’era anche il boss di San Gregorio d’Ippona, Rosario Fiarè (nella foto a destra), ma non ha saputo indicare il nome del reale rappresentante di Fiarè all’interno della società. «Nella compagine societaria – ha aggiunto il collaboratore – c’erano gli imprenditori Naso e Mirabello, il commendatore Carmelo Fuscà e Gurzillo». Confermate poi le riunioni per spartirsi l’appalto per la costruzione del nuovo ospedale di Vibo Valentia alla presenza di esponenti del clan Lo Bianco e l’imprenditore pugliese Domenico Liso, all’epoca aggiudicatario della gara d’appalto, mentre sull’imprenditore (imputato) Giuseppe Fortuna di Sant’Onofrio il collaboratore ha confermato che stava eseguendo dei lavori a Vena di Ionadi e Pizzo.

Nazzareno Lopreiato, il carabiniere onestissimo

Rispondendo sempre alle domande dell’avvocato Sergio Rotundo, Andrea Mantella ha poi riferito del timore di essere eliminato in un agguato organizzato da Francesco Cracolici di Filogaso, intenzionato a vendicare gli omicidi del padre Alfredo Cracolici e dello zio Raffaele Cracolici, entrambi uccisi. «Avevo notato delle strane manovre vicino la mia masseria a Vibo sulla strada per Stefanaconi. Arrivò un furgone – ha affermato Mantella – con il tetto tagliato e fece una manovra strana per ben due volte nel piazzale davanti al mio cancello. Pensai che potessero essere o i carabinieri impegnati in attività investigativa su di me oppure Francesco Cracolici che stava preparando un agguato ai miei danni. Andai arrabbiato dai carabinieri a Vibo dal capitano, comandante Nazzareno Lopreiato, non conosco il grado. Dissi a Lopreiato di non mandarmi carabinieri nascosti in un furgone altrimenti ci saremmo fatti male perché gli avrei sparato contro. Lopreiato mi rispose che non capiva cosa stessi dicendo e quando gli spiegai bene del furgone mi disse che non si trattava di carabinieri e di andare altrove per capire di cosa si trattava. Mi rispose in maniera ferma e gentile ma mi sbattè fuori. Non mi rivelò nulla perché si tratta di un carabiniere iper-perbene, una persona onestissima che mai mi ha svelato nulla. Successivamente ho avuto modo di parlare con Francesco Cracolici (in foto) – ha aggiunto Mantella – il quale ha ammesso di essere stato lui a passare con il furgone contro il quale io ero già pronto a sparargli addosso. Naturalmente Cracolici non mi ha detto che stava preparando un agguato contro di me, ma si inventò che stava passando da lì con il furgone per organizzare delle rapine. Una versione, quella di Francesco Cracolici, alla quale io non ho creduto. Francesco Scrugli, il mio braccio destro, disse chiaramente a Cracolici di non azzardarsi a fare agguati contro di me perché sarebbe stato ucciso sin dentro casa».

Le partite di calcio truccate

Su domande dell’avvocato Sergio Rotundo, Andrea Mantella non ha saputo indicare la categoria nella quale doveva salire la Vibonese Calcio in occasione di campionati in cui alcune partite sarebbero state “combinate” con le squadre avversarie con l’intervento della criminalità organizzata. «Sentivamo la Vibonese Calcio talmente nostra, cioè del nostro locale di ‘ndrangheta che nel corso di una partita – ha dichiarato Mantella – io ho sparato al goal avversario mentre mi trovavo negli spalti. Era la partita con la Rossanese. Nel campionato del 2002, invece, mio cognato Antonio Franzè mi disse che la Vibonese doveva salire di categoria ed io andai da un Bruzzaniti di Africo con il quale ero stato detenuto insieme e che era nipote di Giuseppe Morabito, detto Tiradritto. Bruzzaniti mi mandò da Alessandro Marcianò di Locri ed insieme abbiamo combinato il risultano della partita contro il Locri in favore della Vibonese. Nel 2004, invece, con Paolino Lo Bianco mi sono recato all’uscita del bivio dell’autostrada per Castrovillari per incontrare una persona vicina al boss di Castrovillari Antonio Di Dieco, poi anche lui divenuto collaboratore di giustizia. Bisognava aggiustare la partita con il Castrovillari e Paolino Lo Bianco lasciò al suo interlocutore un regalo. In altra occasione, siamo nel 2003, ricordo che è stata aggiustata una partita – ha concluso Mantella – convocando a Vibo il boss di Rosarno Marcello Pesce».

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