Contro l’esponente del Pd le dichiarazioni dei pentiti Mantella e Moscato, le intercettazioni ed i riscontri dei carabinieri e della Dda di Catanzaro
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È uno dei personaggi più importanti finiti nell’inchiesta “Rinascita-Scott”, sia per gli incarichi politici ricoperti a Vibo Valentia ed alla Regione Calabria, sia per le parentele con esponenti di spicco del “locale” di ‘ndrangheta di Piscopio ed anche per il fatto che nei suoi confronti viene ipotizzato il reato di associazione mafiosa (e non il più lieve concorso esterno).
Si tratta di Pietro Giamborino, 62 anni, di Piscopio, impiegato del Comune di Vibo, già consigliere comunale a Vibo Valentia dal lontano 1994 con il Partito popolare (Ppi), poi consigliere provinciale dal 1995, presidente del Consiglio provinciale con la Margherita, assessore alla Provincia di Vibo (con deleghe al bilancio ed alle finanze), consigliere regionale dal 2005 al 2010 con la Margherita e dal 3 maggio 2013 al 24 novembre 2014 in quota Pd (Partito democratico), ex amministratore delegato della società “Vibo Sviluppo”, già candidato a sindaco nelle primarie del centrosinistra del 2015 (perse da Giamborino per poi sostenere in campagna elettorale il sindaco Elio Costa del centrodestra).
Un soggetto, che sia la Dda di Catanzaro, sia il gip distrettuale, Barbara Saccà, ritengono organico alla ‘ndrangheta sin dai tempi risalenti e per il quale il giudice – in relazione al reato di associazione mafiosa – ritiene raggiunta la “gravità indiziaria” in sede cautelare.
«La qualifica di soggetto “battezzato” nella ‘ndrangheta di Pietro Giamborino viene affermata – scrive il gip – con dichiarazioni rese autonomamente, e tra loro collimanti, da Andrea Mantella (verbale di interrogatorio del 31 agosto 2016) e Raffaele Moscato (interrogatorio dell’8 aprile 2015)». È all’allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Camillo Falvo (attuale procuratore di Vibo Valentia), che il pentito Andrea Mantella svela il ruolo ricoperto dall’esponente politico.
«Pietro Giamborino, il consigliere regionale, è anche lui un uomo d’onore della vecchia ‘ndrangheta di Piscopio, è un mafioso dei Piscopisani ed è stato sponsorizzato per essere eletto, oltre che dai Piscopisani, anche da un po’ tutta la criminalità vibonese compreso Saverio Razionale. Tutti i Giamborino – spiega Mantella – sono battezzati, anche l’ex consigliere regionale a nome Pietro e il fratello di Giovanni detto Trappula. Giamborino Pietro faceva parte del gruppo dello zio Giamborino Fiore, ovvero Giuseppe Salvatore, alias “Fiore” cl. 32, padre di Giamborino Giovanni. La sua appartenenza alla ‘ndrangheta mi venne riferita sia da Saverio Razionale che da Carmelo Lo Bianco e con me – aggiunge Mantella – ci conoscevamo e salutavamo solamente».
«Ricordo una estorsione, nei confronti del parrucchiere D’Angelo di Piscopio, con esercizio commerciale a Vibo vicino alla caserma dei carabinieri denominato I tuoi capelli, la mia passione, quando avevo fatto posizionare una bomba da Onofrio Barbieri e Antonio Patania, del clan Bonavota. In tale occasione – ricorda il collaboratore di giustizia – venne da me Saverio Razionale con Nazzareno Felice a chiedermi, a titolo di favore di lasciare in pace il parrucchiere perché interessava a Pietro Giamborino, l’ex consigliere regionale. In pratica, l’estorsione non andò a buon fine per il suo intervento attraverso Razionale Saverio il quale mi disse che sarei stato ricompensato con i lavori della nettezza urbana quando il catanese Pellegrino, patron della società Proserpina, che era “porta a porta” con Giamborino e avevano pure gli uffici nello stesso palazzo, in piazza Morelli, si sarebbe aggiudicato l’appalto. Cosa che in realtà poi è avvenuta, grazie all’intermediazione di Razionale e Giamborino, quando furono impiegati i miei mezzi». Per gli inquirenti, le dichiarazioni di Andrea Mantella su Pietro Giamborino sono tutte riscontrate.
Chiaro è, a tal proposito, pure il gip distrettuale: «Va precisato che con Mantella il Giamborino ha avuto rapporti concreti nel periodo antecedente all’arresto del pentito, avendolo agevolato, nel territorio di Vibo Valentia, nei servizi della nettezza urbana. Con riguardo al pentito Moscato, quest’ultimo vanta la conoscenza diretta di Pietro Giamborino avendo entrambi fatto parte della medesima articolazione di ‘ndrangheta».
«Il Giamborino viene descritto quale soggetto a disposizione dei Piscopisani, dei Fiarè, di Saverio Razionale, dei Lo Bianco e Pantaleone Mancuso “Vetrinetta”. Emerge pertanto che entrambi i collaboratori di giustizia indicano Pietro Giamborino quale soggetto formalmente affiliato alla ‘ndrangheta che, proprio grazie all’organizzazione mafiosa, ha ottenuto benefici in termini di accaparramento di voti, durante la sua militanza nella politica».
I legami di Pietro Giamborino
«A conferma dei legami, dei rapporti e delle conoscenze di Pietro Giamboino appaiono importanti controlli del territorio». L’indagine “Rinascita-Scott” non trascura infatti di evidenziare la nota del Ros di Catanzaro confluita nell’indagine denominata “Monteleone” che riporta un controllo sul territorio delle forze dell’ordine che hanno fermato il 28 maggio 1990 alle ore 10.00 a Pizzo Calabro il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso (cl. ’47), detto “Vetrinetta” mentre si trovava in compagnia di Pietro Giamborino.
Altro controllo sul territorio importante, secondo gli inquirenti, è anche quello avvenuto a Vibo Valentia il 3 novembre 1998 quando alle ore 1.20 di notte Pietro Giamborino veniva controllato dalla polizia in viale Matteotti a Vibo Valentia a bordo di un’auto in compagnia del cugino Giovanni Giamborino ed Ugo Bellantoni. Giovanni Giamborino è stato anche lui arrestato nell’operazione “Rinascita-Scott” per associazione mafiosa in quanto ritenuto uomo di fiducia del boss Luigi Mancuso, mentre Ugo Bellantoni, per anni a capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Vibo, nonché attuale gran maestro della massoneria del Goi e già maestro venerabile della loggia “Michele Morelli” di Vibo, risulta indagato a piede libero per concorso esterno in associazione mafiosa (il gip ha rigettato per lui la misura cautelare).
I rapporti con Razionale e Luigi Mancuso
Secondo gli inquirenti ed il gip, il boss di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale (pure lui arrestato), ha avuto “pregressi e datati rapporti diretti con Pietro Giamborino”, il quale avrebbe mantenuto nel tempo i rapporti con il figlio Francesco Razionale, medico al Gemelli di Roma (fra i due è stato intercettato un messaggio di auguri Sms nel Natale del 2016: “Carissimo Pietro….Auguro un felice Natale a te a alla tua famiglia! Ci vediamo presto. Intanto ti mando un abbraccio. Francesco Razionale), così come con Gregorio Gasparro, alias “Ruzzo U Gattu”, nipote di Razionale e pure lui arrestato.
Dalle intercettazioni, secondo il gip, si desume poi che Pietro Giamborino si sarebbe adoperato, sfruttando le sue conoscenze all’Università di Messina, per far superare alcuni esami particolarmente ostici a Medicina e Farmacia alle figlie del boss di Limbadi Luigi Mancuso.
I rapporti con il boss Galati
«Entrambi i collaboratori – sostiene il gip – sottolineano la scaltrezza di Giamborino che, una volta diventato politico, avrebbe utilizzato cautele estreme nelle frequentazioni ufficiali, incontrandosi con il cugino Pino Galati e con Rosario Battaglia, solo nelle ore più tarde, per evitare di essere visto”. Dalle intercettazioni emerge infatti che Pietro Giamborino si sarebbe incontrato spesso con il cugino Pino Galati, detto “Il Ragioniere”, già condannato nel processo “Crimine” quale capo società di Piscopio e nuovamente arrestato ad aprile per associazione mafiosa nell’operazione “Rimpiazzo”. E’ lo stesso Pietro Giamborino a riferirlo nelle intercettazioni: “Aspetto la sera che si ritiri il ragioniere per vederlo che vuole sempre dirmi qualche cosa e poi chiudo e me ne vado…che dalla finestra dobbiamo parlare.., che c’è quella telecamera là».
«Sono altresì dimostrati – sostengono il gip e la Dda – gli interventi di Pietro Giamborino a favore di Pino Galati per favorirlo con la pubblica amministrazione, segnatamente al fine di risolvere un problema con l’Asp per ottenere l’abitabilità di un locale commerciale da adibire a bar».
Altrettanto significativa è poi per i magistrati un’intercettazione fra Pietro Giamborino ed il nipote Filippo Valia (anche lui indagato nell’operazione “Rinascita”) «in cui il primo illustrava al secondo quelle che erano le caratteristiche “nobili” della vecchia onorata società, illustrando quelli che erano i precetti morali e che – ad avviso di Giamborino – si erano persi nel tempo» sino ad arrivare a ricordare «l’operato dei membri che ne componevano i ranghi, indicando i nomi del padre, dello zio» e di altri personaggi di Piscopio.
Le dichiarazioni di Moscato
«Il collaboratore – rimarca il gip – racconta che quando Giamborino vinse le elezioni nel 2010 si recò alle due di notte a casa di Rosario Battaglia, ubriaco, con una bottiglia di champagne per festeggiare. In cambio, il neo eletto, sistemò da un punto di vista lavorativo dei parenti di Battaglia». Tale ultima circostanza, per i magistrati, è ampiamente riscontrata, con una parente di Battaglia che avrebbe trovato lavoro in uno studio legale di un avvocato, più altri lavori per diversi congiunti.
«I politici vicini ai Piscopisani sono Comito, credo si chiami Pietro che – racconta Moscato – non conosco, e soprattutto Pietro Giamborino che io conosco ed è di Piscopio. Pietro Giamborino è stato eletto due volte e, per quanto io ne sappia, lui non partecipava direttamente a riunioni preelettorali, anche perché non c’era bisogno di riunioni, lui chiedeva direttamente i voti a Battaglia Rosario e Battaglia Giovanni, si rivolgeva direttamente a loro consapevole della loro caratura criminale.
In cambio Giamborino non gli dava soldi, ma favori, come l’aggiudicazione di lavori ad imprenditori vicini ai Piscopisani, ditte compiacenti, come quella di Pino D’Amico, quella di Daniele Prestanicola, quella di Vita Salvatore, quelle dei Tripodi, quella di Rocco, lo zio di Sarino Battaglia. Queste ditte – rivela Moscato – poi pagavano la mazzetta ai Piscopisani dopo aver chiuso i lavori. Pietro Giamborino era battezzato nel vecchio locale quando c’era capo Ciccio Ammaculata, un’altra persona vicinissima tuttora a noi Piscopisani».
Galati, D’Onofrio e Giamborino
Dalle intercettazioni emerge inoltre che «Pietro Giamborino ha interessato Pino Galati per far recuperare delle cose che erano state rubate ad una terza persona che si era rivolta a Pietro Giamborino affinché attivasse i suoi “canali” per recuperare la refurtiva. Risultano altresì accertati – rimarcano i magistrati – i rapporti tra Pietro Giamborino e noti appartenenti alla ‘ndrangheta, già condannati, tra cui Francesco D’Onofrio e la sua famiglia». Si tratta di Francesco D’Onofrio, originario di Mileto, ritenuto uno dei principali boss della ‘ndrangheta in Piemonte e non solo.
Il timore di essere arrestato
Dalle indagini è emerso infine tutto il timore nutrito da Pietro Giamborino di finire in una maxi-retata che “coinvolge trecento persone”. Giamborino sapeva, dunque, di una maxi-operazione antimafia e per questo avrebbe mobilitato diversi suoi “canali” (anche insospettabili) per arrivare a saperne di più sull’indagine avviata dalla Dda di Catanzaro e dai carabinieri, anche sulla scorta delle dichiarazioni di Mantella e Moscato, e poi sfociata nell’operazione “Rinascita-Scott”. In particolare, Pietro Giamborino si sarebbe preoccupato dell’eventuale «presenza del proprio nome – sottolineano i magistrati – di quello di Michele Lico, dell’ingegnere Basile Francesco e di “persone care”.
Nella conversazione captata il 27 luglio 2018 si ha “inoltre contezza – spiega il gip – del fatto che tra i fruitori del lavoro di raccolta informativa di Pietro Giamborino vi è l’accreditato esponente del locale di Piscopio Galati Giuseppe Salvatore, noto come Pino u ragioneri”. Gli inquirenti hanno accertato che «Giamborino e Basile sono proprietari al 50% delle quote societarie della società inattiva “San Francesco di Paola srl” con sede legale a Vibo Valentia ed avente quale oggetto sociale la vendita al dettaglio di carburanti per autotrazione».
Si tratta dello stesso Francesco Basile, 63 anni, esponente dell’Udc – già nel 2002 nominato dall’allora sindaco Elio Costa assessore comunale ai Lavori pubblici ed all’Urbanistica – finito anche lui nell’operazione “Rinascita-Scott” con l’accusa (a piede libero) di concorso in abuso d’ufficio per un fascicolo processuale che sarebbe stato portato fuori dal palazzo di giustizia di Vibo – il 17 settembre 2018 – da Danilo Tripodi, 38 anni, assistente giudiziario del Tribunale di Vibo Valentia, arrestato nell’operazione “Rinascita” per altri reati: concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, falsità materiale in atti pubblici. E le sorprese, quanto a legami insospettabili che affiorano dall’inchiesta, non finiscono qui…