Dalle carte dell’inchiesta ancora particolari agghiaccianti sull’ingerenza delle ndrine vibonesi nella gestione della cosa pubblica
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È certamente il “capitolo” dell’inchiesta “Rinascita-Scott” più agghiacciante e disumano, ma anche quello che permette alla Dda di Catanzaro ed al gip distrettuale di evidenziare le “complicità della ‘ndrangheta all’interno del Comune di Vibo Valentia” di cui avrebbe in particolare goduto Orazio Lo Bianco, 46 anni, fra i principali arrestati dell’operazione antimafia.
Truffa aggravata dalle finalità e modalità mafiose è infatti il reato che viene contestato a Orazio Lo Bianco, al custode del cimitero di Bivona Antonio Fuoco, 63 anni, a Michele Lo Bianco, 21 anni, a Francesco Paternò, 29 anni, detto “Cisca” (operai della ditta di pompe funebri) ed a Rosario Pugliese, 54 anni, alias “Saro Cassarola” (attualmente latitante).
Tutti gli indagati avrebbero simulato l’avvenuta tumulazione, nel maggio e nel giugno del 2017 nel cimitero di Bivona, di due salme di migranti (sbarcati nel porto di Vibo Marina) nel rispetto della commessa indetta dal Comune di Vibo Valentia. Dalle indagini è emerso che la tumulazione è invece avvenuta in violazione del regolamento di polizia mortuaria e della stessa commessa, poiché le salme sono state tumulate sprovviste della prevista cassa di legno, con un ingiusto profitto in favore dell’impresa di pompe funebri denominata “Le Stelle” di Orazio Lo Bianco (con socio occulto Rosario Pugliese) ed un corrispondente danno per il Comune di Vibo pari all’importo del corrispettivo (1.650,00 euro).
I reati contestati
Omissioni di atti d’ufficio con l’aggravante di aver agevolato il clan Lo Bianco è quindi il reato contestato a Rosario Giurgola, 67 anni, responsabile dei servizi cimiteriali del Comune di Vibo. Avrebbe omesso, secondo l’accusa, di contestare le violazioni al Regolamento di polizia mortuaria (di cui ne sarebbe stato, ad avviso degli inquirenti, perfettamente a conoscenza) poste in essere dall’agenzia funebre “Le Stelle” di Orazio Lo Bianco, consistite nel tumulare le salme in loculi comunali differenti da quelli indicati nell’apposita ordinanza.
Turbata libertà degli incanti, con l’aggravante mafiosa, è poi il reato contestato ad Orazio Lo Bianco, Manuele Baldo, Antonello Curello e Francesco Paternò.
In particolare, gli indagati avrebbero turbato la gara d’appalto indetta dal Comune di Vibo Valentia per la prestazione dei servizi funerari e di sepoltura di sedici salme di migranti.
Sarebbe stato Orazio Lo Bianco, secondo l’accusa, ad impedire ad un imprenditore di Pizzo di partecipare alla gara d’appalto per poi promuovere e concludere “un accordo collusivo tra tutti i restanti imprenditori funerari” intenzionati a parteciparvi – ovvero Antonello Curello, 46 anni, di Sant’Onofrio e Manuele Baldo, 54 anni, di Ionadi – e che avrebbero presentato offerte di uguale importo (duemila euro) “al fine di garantirsi la spartizione dei servizi appaltati e dei relativi introiti”.
Orazio Lo Bianco, inoltre, dopo aver appreso per il tramite di un dipendente comunale (ancora da identificare) che Curello aveva disatteso l’accordo pattuito presentando un’offerta inferiore a quella concordata (1.400,00 euro), avrebbe concordato con l’imprenditore Baldo la presentazione nel luglio del 2017 di una nuova offerta (presentata con l’ausilio di Paternò Francesco) più bassa (1.300,00 euro), riuscendo così a vincere la gara congiuntamente a Baldo, con il quale si sarebbe spartito la commessa, le spese e i guadagni.
“Al termine dell’iter – ricostruisce la Dda – Orazio Lo Bianco veniva contattato dalla dirigente del Comune Adriana Teti, la quale gli comunicava l’aggiudicazione della gara”.
La tragedia umanitaria e la criminalità
Trancianti la ricostruzione ed i giudizi degli inquirenti sulla vicenda: “Anche in questo settore la criminalità organizzata ha cavalcato l’onda di tale tragedia umanitaria, nel caso di specie accaparrandosi il lucroso business dei migranti deceduti giunti sulle nostre coste e ponendo in essere raggiri finalizzati ad incrementare i guadagni provenienti da tale attività, provocando danni erariali ed incrementando il pericolo per la salute pubblica. Infatti gli indagati, nel rendere i servizi funerari affidatigli dal Comune di Vibo Valentia per la sepoltura dei cadaveri dei migranti, non utilizzavano il materiale previsto dalle normative vigenti, al fine di aumentare i propri guadagni.
Inoltre emergeva come l’agenzia funebre di Orazio Lo Bianco faceva da padrone nei cimiteri del Comune di Vibo Valentia, permettendosi di dislocare a proprio piacimento le salme senza rispettare le indicazioni stabilite con ordinanze comunali, con la complicità del responsabile dei servizi cimiteriali del Comune, Rosario Giurgola. Tale forma di assoggettamento verso gli organi deputati al controllo delle regolari esecuzioni dei servizi cimiteriali derivava – sostengono i magistrati – dalla consapevolezza maturata da questi ultimi della provenienza dell’autorità del Lo Bianco, il quale asseritamente si atteggiava a padrone della città in virtù dei suoi collegamenti criminali".
Le salme sepolte senza la bara
“Tali considerazioni – rimarca la Dda – venivano esternate proprio da Rosario Giurgola, nel corso di uno sfogo inerente alla mancata presa in considerazione da parte di Orazio Lo Bianco dei solleciti per il ripristino della regolarità sull’assegnazione dei loculi al cimitero”. Dalle intercettazioni è poi emerso il timore di Orazio Lo Bianco in ordine al fatto che qualora i carabinieri – giunti sul posto a seguito di numerose segnalazioni in ordine ad odori nauseabondi che provenivano dai loculi dei migranti – avessero aperto il loculo in cui doveva esserci una donna si sarebbero accorti che vi era un’altra salma e che in più non era presente la cassa. Orazio Lo Bianco, quindi, “ben consapevole dell’imbroglio, esortava il proprio operaio a non aprire i loculi”.
Il consigliere comunale e il fratello
Secondo gli inquirenti emergeva così “la totale assuefazione dei dipendenti comunali preposti al controllo dei servizi cimiteriali ai voleri del Lo Bianco e del Pugliese, al punto che gli stessi gestivano a loro piacimento la disposizione dei loculi in cui tumulare le salme, in completa violazione delle ordinanze comunali”. Significativa è inoltre un’intercettazione telefonica in cui l’allora consigliere comunale Alfredo Lo Bianco (arrestato nell’operazione “Rinascita” per voto di scambio aggravato dalle finalità mafiose) raccomandava al fratello Orazio di non spostare al cimitero di Vibo le salme dei propri familiari.
“Orazio una cosa per cortesia – si legge nel dialogo intercettato – non fare più movimenti li sopra per nessuno! Va bene ? I posti nostri sono quelli…Non per lo zio Antonio, non per nessuno. Lo zio Antonio può stare quanto vuole, lo zio Ciccio può stare quanto vuole, poi tra cent’anni abbiamo bisogno dell’ossario, poi vediamo”. Ad avvisodella Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, e dei carabinieri,il riferimento del consigliere comunale Alfredo Lo Bianco “era evidentemente rivolto agli spostamenti di salme dei propri familiari defunti in loculi cimiteriali diversi da quelli assegnati, a conferma della gestione autonoma da parte di Orazio Lo Bianco in tale settore, lasciando emergere la consapevolezza di tale situazione da parte del fratello Alfredo, il quale in qualità di consigliere comunale dovrebbe rappresentare gli interessi del Comune contro gli illeciti perpetrati contro l’ente”. A quanto sin qui ricostruito “va aggiunto – ha ulteriormente precisato la Dda – come Lo Bianco Orazio rappresenti un importante bacino elettorale per i propri congiunti attivi in politica, motivo per il quale questi ultimi danno contezza alle sue richieste, in cambio del procacciamento dei voti”.
La notizia data da ilVibonese e i timori dei Lo Bianco
Il 26 luglio 2017, Orazio Lo Bianco veniva contattato telefonicamente dalla sorella “e – ricostruiscono gli inquirenti – Orazio le chiedeva se si trattasse del “fatto del giornale”, precisando di esserne già a conoscenza, facendo verosimilmente riferimento agli articoli di cronaca pubblicati”. Il riferimento è alla testata del gruppo LaC, ilVibonese, che il 26 luglio 2017 aveva dato notizia di un’indagine su Orazio Lo Bianco aperta dalla Procura di Vibo Valentia per il reato di truffa in relazione alla sepoltura delle salme dei migranti senza bara nel cimitero di Bivona. “La donna lamentava la scarsa sincerità del proprio germano, in quanto sul giornale era apparso – ricostruisce la Dda – solamente il suo nominativo, mentre quest’ultimo aveva sempre parlato di una Società a responsabilità limitata. Appare chiaro – rimarcano gli inquirenti – il riferimento all’attività lavorativa del Lo Bianco ed alla sua impresa funebre”.
Mantella e le accuse a Lo Bianco e Pugliese
A tratteggiare un “profilo” di Orazio Lo Bianco e di Rosario Pugliese (alias “Saro Cassarola) è poi il collaboratore di giustizia Andrea Mantella. “Orazio Lo Bianco, detto “U Tignusu”, è affiliato al clan Lo Bianco e porta come capo società Enzo Barba perché non poteva portare uno con lo stesso cognome. Pugliese Rosario, detto “Saro Cassarola”, è un mio parente, affiliato alla ‘ndrangheta con il grado della Santa ed era sempre presente alle riunioni della società maggiore; lui era uno dei pochi azionisti rimasti, anche perché aveva fatto scomparire i fratelli Tambuscio per vendicare il fratello (Cecchino, scomparso a 14 anni) e ha sparato due volte ad Antonello Muggeri, poi ammazzato dai cosentini. Pugliese Rosario ha un’agenzia di pompe funebri, da sempre fa usura sia per conto proprio che per la cosca; l’usura la facevano anche il padre, la madre e i fratelli”.
Mantella, i resti dei cadaveri e il cimitero di Vibo
Secondo il racconto di Andrea Mantella, Orazio Lo Bianco e Rosario Pugliese nel cimitero di Vibo avrebbero provveduto negli anni a “vendere le cappelle ormai diroccate in cui erano custodite salme non recriminate da alcun familiare, in particolare a ristrutturarle, togliere i resti dei cadaveri, e rivenderle a prezzi maggiorati, fra i 50 ed i 60mila euro.
Al cimitero di Vibo Valentia – ha dichiarato Mantella i fratelli Pugliese, Rosario e Carmelo, affiliati alla cosca Lo Bianco, attraverso una ditta di muratura di Orazio Lo Bianco e tramite Francolino che fa il becchino al cimitero, gestiscono le cappelle e i loculi a Vibo Valentia. Anche io ho beneficiato gratuitamente nel 2009 di una cappella al cimitero. Ricordo che parlai con questo becchino il quale mi disse che avrebbe messo i resti del cadavere nella fossa comune, come di solito facevano. La cappella me l’ha trovata Francolino ed è stata sistemata da Orazio Lo Bianco.
La falsa documentazione – spiega ancora Mantella – è stata preparata da Orazio Lo Bianco e dai fratelli Pugliese tramite Francolino, mentre la pratica è stata gestita per me da mio cugino Salvatore Morgese. Io – aggiunge Mantella – alla cappella ci sono andato quando era diroccata, poi sono stato arrestato e non l’ho vista rifatta. Ho scelto tra diverse cappelle diroccate. Per avermi agevolato con la cappella, attraverso mio cugino Morgese Salvatore, il Francolino – ha dichiarato il collaboratore Mantella – mi chiese se potevamo fargli il favore di far incendiare un furgone ad un imprenditore idraulico, era il 2009-2010, che abitava a Sant’Aloe vicino alla Questura. Incaricai di bruciare il veicolo Carmelo Chiarella, cosa che fece”.
Da precisare che né Francolino, né Carmelo Pugliese risultano indagati nell’operazione “Rinascita-Scott”, mentre Salvatore Morgese, 54 anni, e Carmelo Chiarella, 29 anni, entrambi di Vibo Valentia, sono stati arrestati per associazione mafiosa.
La onlus “Sacra Famiglia”
Un “capitolo” dell’inchiesta si sofferma infine sulla onlus “Sacra Famiglia”, associazione senza scopo di lucro il cui presidente è Orazio Lo Bianco e “della quale fanno parte – spiegano la Dda ed i carabinieri – anche la moglie Antonella Raffa, Francesco Paternò e Rosario Pugliese.
Tale associazione tendeva a rispecchiare l’assetto delle società di servizi funerari del Lo Bianco, nelle quali risultavano assunti i predetti Pugliese e Paternò, quest’ultimo segretario dell’associazione. Dagli accertamenti e dalle stesse sommarie informazioni rese ai carabinieri da Orazio Lo Bianco e Francesco Paternò è quindi risultato che in tale onlus avevano prestato “volontariato in qualità di autisti di autoambulanza privata Loris Palmisano e Luigi Federici”. Le attestazioni di volontariato nella onlus “Sacra Famiglia”, secondo la ricostruzione degli inquirenti, servivano a limitare le misure cautelari all’epoca applicate a Loris Palmisano e Luigi Federici.
“Questo l’ho fatto anche per mio cognato Raffa Rosario – ha dichiarato Orazio Lo Bianco ai carabinieri – che aveva avuto problemi con la giustizia”. Orazio Lo Bianco aggiungeva poi che “Federici Luigi mi ha chiesto di emettere un attestato di volontariato, in quanto anche lui era con dei problemi di giustizia e aveva la necessità che venisse autorizzato a venire da me, per come ha fatto tutti i giorni, la mattina e di pomeriggio a volte. Faceva il portantino per il più delle volte”.
Pertanto, dalle dichiarazioni rese da Orazio Lo Bianco, “emergeva palesemente – conclude la Dda – come le assunzioni e gli attestati di volontariato erano finalizzati tendenzialmente ad “aiutare” suoi parenti o conoscenti che avevano avuto problemi con la giustizia, al fine di riuscire ad attenuare le misure restrittive. A ben modo di vedere, tale andamento riscontra come Lo Bianco utilizzasse le proprie società e la predetta associazione per i fini illeciti della consorteria, anche fornendo assistenza ai sodali”. Per la cronaca, Loris Palmisano, 24 anni, e Luigi Federici, 22 anni, entrambi di Vibo, sono stati arrestati nell’operazione “Rinascita” per associazione mafiosa e altri reati.