Il collaboratore di giustizia in aula nel corso del maxiprocesso si è soffermato anche sui rapporti di forza esistenti all’interno dei clan raccontando degli assetti criminali
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Gerarchie mafiose e “bastone” del comando nel Vibonese. Nel corso delle ultime due udienze il collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, si è soffermato anche sui rapporti di forza esistenti all’interno della ‘ndrangheta vibonese, raccontando quanto a sua conoscenza sugli assetti criminali ed i rapporti di forza. “In provincia di Vibo Valentia – ha dichiarato il collaboratore – i boss più potenti sono attualmente Rocco Anello di Filadelfia, Giuseppe Accorinti di Zungri, Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona, che però all’interno del clan di appartenenza viene dopo Rosario Fiarè, e Luigi Mancuso di Limbadi che sta sopra tutti da quando nel 2012 è uscito dal carcere. Ricordo che una volta Giuseppe Accorinti lo disse in faccia a Domenico Pardea che nel Vibonese alla fine erano solo queste persone a comandare. Mentre però – ha aggiunto Arena – con personaggi come Rocco Anello e Saverio Razionale si poteva anche parlare e ragionare, con Giuseppe Accorinti era impossibile e tutti lo temevano solo perchè sanguinario. Una volta per risolvere una questione inerente gli assetti mafiosi ed i riconoscimenti, io, Antonio Macrì e mio zio Domenico Camillò ci siamo recati da Umberto Bellocco di Rosarno, pensando fosse il massimo esponente della ‘ndrangheta. Ricordo però che Enzo Barba ci disse che non c’era più bisogno di recarci sino a Rosarno per ottenere riconoscimenti, in quanto era uscito di galera Luigi Mancuso di Limbadi che era allo stesso livello di Umberto Bellocco per caratura mafiosa”.
I personaggi vicini a Luigi Mancuso e il rapimento di Morelli
Una figura, quella di Luigi Mancuso, affrontata da Bartolomeo Arena riferendo quanto a sua conoscenza in relazione ai personaggi ritenuti più vicini al boss di Limbadi. “Il braccio-destro di Luigi Mancuso è Pasquale Gallone, detto Pizzichiju, che io ho conosciuto in una rivendita di auto di Damiano Pardea. I Gallone e Luigi Mancuso volevano rapire Salvatore Morelli di Vibo e fargli del male. Parlarono di questa cosa con Antonio Piccolo di Nicotera il quale però, essendo amico di Salvatore Morelli ed avendolo conosciuto in carcere, si recò a Vibo da Morelli avvertendolo delle brutte intenzioni. Morelli, a sua volta, si recò da Enzo Barba per parlare della situazione e capire cosa fare.
I Gallone di Nicotera e Luigi Mancuso – ha riferito il collaboratore – scoprirono però il tradimento di Antonio Piccolo, allontanandolo definitivamente dal gruppo per la soffiata fatta e avvertendolo pure che non veniva ucciso solo perché figlio di Roberto Piccolo. Luigi Mancuso, a questo punto, inviò direttamente a casa di Morelli a Vibo altro suo stretto sodale, Antonio Prenesti, al fine di rassicurare Morelli stesso che non gli sarebbe successo nulla, ma anche per fargli capire che i suoi uomini potevano entrargli addirittura dentro casa in ogni momento. Alla fine anche Enzo Barba incontrò Luigi Mancuso per sistemare questa vicenda di Morelli e capire in cosa avesse sbagliato”.
La Malfa, Papaianni e gli assetti criminali a Capo Vaticano
Altro personaggio che il collaboratore ha indicato come vicino a Luigi Mancuso è stato Emanuele La Malfa, il 34enne di Limbadi imputato con l’accusa di far parte della rete di protezione di cui godeva il boss. “Emanuele La Malfa – ha spiegato Bartolomeo Arena – era uomo a disposizione di Luigi Mancuso e si occupava di portare i messaggi di Mancuso. Me lo confermò Antonio Macrì ed io vidi Emanuele La Malfa al Cin Cin bar a Vibo. Anche Enzo Barba sapeva di questo ruolo di La Malfa in quanto pure a lui portò delle imbasciate”.
Personaggio di spicco del clan Mancuso sarebbe invece Agostino Papaianni di Coccorino, di recente arrestato dopo essersi dato alla latitanza per sfuggire al blitz di Rinascita Scott. “Nel 2004 tramite Gianfranco Ferrante ero stato assunto in una ditta di alimenti e bevande. Facevo il rappresentante ed il titolare della ditta mi disse di occuparmi del rifornimento di bar, ristoranti e pizzerie della zona di Capo Vaticano. Mi accorsi però che stranamente – ha raccontato Bartolomeo Arena – ovunque andavo, nei locali o villaggi neanche mi facevano entrare dicendomi di essere già a posto con alimenti e bevande. Sono andato così a trovare Giacomo De Salvo a Spilinga per chiedere come mai nessuno mi calcolava e lui mi disse che per tutta la zona di Capo Vaticano la fornitura di alimenti e bevande la faceva Agostino Papaianni e nessun altro e che, soprattutto, il prezzo lo stabiliva Papaianni stesso. So che nelle copiate mafiose all’atto dell’affiliazione veniva messo il nome di Agostino Papaianni quale contabile, accanto a quello di Luigi Mancuso. Papaianni è di Coccorino di Joppolo”.
La situazione a Santa Domenica e Tropea
Bartolomeo Arena è quindi passato a spiegare gli assetti mafiosi esistenti a Santa Domenica di Ricadi e Tropea. “A Santa Domenica di Ricadi c’è Pasquale Quaranta che è uno stretto alleato dei La Rosa di Tropea. In precedenza a Santa Domenica c’erano i Carone, ma sono stati uccisi. Antonio La Rosa era legato ai Mancuso, ma non andava d’accordo con tutti i rami dei Mancuso, lui era particolarmente legato a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. I Carone di Tropea ed Ivano Pizzarellidi Tropea erano invece legati al ramo dei Mancuso che fa capo a Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja. Altro personaggio che operava in zona era Domenico Polito che unitamente ad Antonio Prenesti ha ucciso Raffaele Fiamingo e ferito Francesco Mancuso, detto Tabacco. In quell’agguato a Spilinga – ha aggiunto Bartolomeo Arena – insieme a Francesco Mancuso e Raffaele Fiamingo c’era pure Antonio Tripodi di Portosalvo. L’ordine di uccidere era stato dato a Polito e Prenesti da Cosmo Michele Mancuso che all’epoca andava d’accordo con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni”.
Artusa ed il legame con i Mancuso
Bartolomeo Arena ha poi accennato alla vicinanza delle imprese dei Restuccia di Rombiolo ai Mancuso, mentre l’imprenditore Pantaleone Contartese è stato indicato dal collaboratore come “braccio-destro di Giuseppe Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta”. Il gioielliere Vittorio Tedeschi di Vibo, imputato per tentata estorsione nel maxiprocesso Rinascita Scott, ad avviso di Bartolomeo Arena era invece “legato a Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta, e tutti i Mancuso si erano sempre messi a disposizione di Tedeschi che, unitamente a Vetrinetta, faceva parte della massoneria”. A riferire a Bartolomeo Arena tali circostanze su Vittorio Tedeschi sarebbe stato Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni. Sugli imprenditori Artusa, titolari di un negozio di abbigliamento a Vibo Valentia, il collaboratore ha invece dichiarato: “Il negozio Artusa è in realtà di Cosmo Michele Mancuso. L’ho constatato personalmente, in quanto una volta con Nunzio Pagano di San Gregorio d’Ippona siamo andato da Artusa, comprando capi di abbigliamento per tre milioni di vecchie lire. Nunzio Pagano voleva pagare con un assegno, ma Maurizio Artusa gli chiese se l’assegno fosse coperto in quanto il negozio era di Michele Mancuso. E’ stato direttamente Maurizio Artusa a dirci che il negozio era di Michele Mancuso. Nunzio Pagano chiamò allora al telefono Rosario Fiarè al fine di rassicurare Artusa che l’assegno era coperto. In realtà, dopo aver incassato Artusa l’assegno, si scoprì che lo stesso era scoperto”. In altra occasione, invece, immediatamente dopo il sequestro del negozio degli Artusa da parte della Guardia di Finanza in quanto coinvolti in un’inchiesta per bancarotta fraudolenta, gli Artusa – secondo il racconto di Bartolomeo Arena – si sarebbero rivolti a Luigi Mancuso.“Gli Artusa volevano che il negoziante di Vibo Giannini, parente di Raffaele Franzè detto Lo Svizzero, non si prendesse la marca Santoni. Gli Artusa contavano infatti di riaprire a breve dopo il sequestro del negozio e la marca Santoni a Vibo l’avevano trattata sempre loro. Luigi Mancuso mandò così un’imbasciata a Raffaele Franzè per questo fatto, mentre gli Artusa parlarono con Salvatore Furlano, commesso nel negozio di abbigliamento Giannini, il quale parlò a sua volta con Raffaele Franzè. Alla fine – ha concluso Bartolomeo Arena – l’intervento di Luigi Mancuso su Raffaele Franzè e quindi su Giannini ebbe successo”.