L’ex killer del clan Bonavota di Sant’Onofrio verrà sentito sugli omicidi di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano. Nel processo anche un sequestro di persona e le lupare bianche di Roberto Soriano, Antonio Lo Giudice e Filippo Gangitano
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Sciolta la riserva da parte della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro sulla richiesta della Procura Generale (applicata per tale procedimento il pm della Dda, Annamaria Frustaci) di ascoltare in aula – nel troncone del processo Rinascita Scott relativo ai fatti omicidiari – il nuovo collaboratore di giustizia Francesco Fortuna di Sant’Onofrio. La sua escussione è stata fissata dalla Corte per l’udienza del 27 febbraio. Elemento di spicco del clan Bonavota e killer della cosca, i giudici hanno deciso per l’ammissione del suo esame in video-collegamento.
Gli omicidi Furlano e Cracolici
Le dichiarazioni interessano anche gli omicidi di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano per i quali in primo grado si è registrata la condanna all’ergastolo di Domenico Bonavota, 45 anni, di Sant’Onofrio – ritenuto il mandante dei due delitti –, mentre 30 anni di reclusione sono stati inflitti ad Antonio Ierullo, di 55 anni, di Vallelonga che avrebbe fornito appoggio logistico durante le fasi propedeutiche al duplice omicidio e sarebbe stato poi l’autore materiale della sparatoria che ha cagionato il 9 febbraio 2002 la morte di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano contro i quali sono state esplose raffiche di kalashnikov e colpi di fucile calibro 12, tanto da lasciare sul posto dell’agguato – in contrada Muraglie di Vallelonga – i bossoli di oltre venti colpi. A recarsi insieme a Ierullo a fare un sopralluogo a Vallelonga nel 2002 ci sarebbe stato anche un soggetto di Sant’Onofrio rimasto al momento ignoto. In primo grado l’accusa si era basata sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Mantella di Vibo e Francesco Costantino di Maierato, ma pure sulle dichiarazioni rese a suo tempo da Bruno Di Leo di Sant’Onofrio.
Francesco Fortuna e gli omicidi
Francesco Fortuna nelle sue dichiarazioni, oltre a confermare le responsabilità nel fatto di sangue da parte di Domenico Bonavota, chiama in causa altre tre persone di Sant’Onofrio rimaste escluse dal processo e dall’operazione Rinascita Scott. Tali soggetti avrebbero preso direttamente parte alla “missione di morte”. Stando alle dichiarazioni di Fortuna, Alfredo Cracolici – indicato quale capo del clan di Filogaso – avrebbe pagato con la vita il furto di un carro funebre, di una motozappa e di alcuni capi di bestiame ai danni di uno zio dei Bonavota.
Le scomparse di Soriano e Lo Giudice
Il processo si occupa anche delle lupare bianche di Roberto Soriano di Filandari e Antonio Lo Giudice di Piscopio, uccisi nell’agosto del 1996. Per tale fatto di sangue in primo grado sono stati condannati all’ergastolo Giuseppe Accorinti (boss di Zungri) e Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona. Roberto Soriano, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Emanuele Mancuso, sarebbe stato legato in una campagna, torturato con una tenaglia e poi ucciso da Giuseppe Accorinti, alla presenza di Razionale, che ne avrebbe macinato il corpo con la fresa del trattore. Roberto Soriano – che si era recato con Lo Giudice a Zungri da Accorinti per recuperare un’auto rubata – avrebbe pagato con la vita l’aver aperto il fuoco l’anno precedente a Briatico contro Saverio Razionale (rimasto ferito unitamente a Giuseppe Fiorillo di Piscopio) su mandato del boss Giuseppe Mancuso (alias ‘Mbrogghja).
La lupara bianca di Gangitano
Sul banco degli imputati in appello è rimasto solo Andrea Mantella, collaboratore di giustizia, condannato a 14 anni in primo grado. Per il delitto Gangitano sono invece stati assolti in primo grado – così come richiesto dalla stessa Dda – Paolino Lo Bianco, 62 anni, di Vibo Valentia e Filippo Catania, 74 anni, di Vibo Valentia. Assolto anche Vincenzo Barba, 73 anni, di Vibo Valentia, per il quale la Dda aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Tale assoluzione non è stata appellata divenendo così definitiva. Filippo Gangitano è scomparso nel gennaio 2002. Secondo il racconto di Andrea Mantella, Gangitano – alias “U Picciottu” – sarebbe stato eliminato per volontà dei vertici del clan Lo Bianco-Barba in quanto ritenuto omosessuale.
Vacatello e il sequestro di persona
Secondo l’accusa, Antonio Vacatello avrebbe cercato di ottenere con modalità delittuose la restituzione o il pagamento di somme di denaro – circa seimila euro – da parte di Rocco Ursino, vibonese residente a Imbersago. La condotta copre un arco temporale che va dal 14 settembre 2016 al 12 ottobre 2016 e porta quale luogo di commissione Seregno (provincia di Monza) e Vibo Marina. Per ottenere la restituzione della somma di denaro sarebbe stato compiuto un vero e proprio sequestro di persona. Tale reato viene contestato, in concorso fra loro, ad Antonio Vacatello (condannato in primo grado a 30 anni), Pantaleo Maurizio Garisto, 42 anni, di Zungri (condannato in primo grado a 20 anni), Luciano Macrì, 55 anni, di Vibo Marina (già giudicato con rito abbreviato e condannato a 20 anni in appello anche per altri reati), Valerio Navarra, 31 anni, di Pernocari (condannato a 20 anni in primo grado), Saverio Sacchinelli, 42 anni, di Pizzoni (quest’ultimo già giudicato con rito abbreviato e condannato in appello a 13 anni e 4 mesi).
Nel collegio di difesa ci sono gli avvocati: Nico D’Ascola, Giuseppe Monteleone, Gianni Puteri (tutti per Razionale), Salvatore Staiano, Francesco Muzzopappa, Sergio Rotundo, Diego Brancia, Vincenzo Gennaro, Nicola Cantafora, Francesco Schimio, Luca Cianferoni, Francesco Calabrese, Antonio Galati.