L'intreccio di mafia, massoneria e affari nel racconto del collaboratore di giustizia. Il progetto d'investimento non si concretizzò e sfumò dopo l'arresto di Rocco Molè
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Mafia, massoneria ed affari. È stato il giorno di Cosimo Virgiglio di Rosarno, nel processo Rinascita-Scott. Un lungo esame nel corso del quale sono stati affrontati diversi argomenti. Ad iniziare dai contatti con il clan Molè di Gioia Tauro.
“Mio zio è stato assassinato – ha raccontato il collaboratore – ed io dopo la laurea a Messina ho aperto un’impresa che si occupava della spedizione di container. Ben presto, però, sono finito nel mirino della criminalità e mi hanno pure sparato l’auto. Esausto ed impaurito, dopo aver fatto tante denunce ai carabinieri senza vedere risultati, mi sono rivolto a Rocco Molè di Gioia Tauro tramite il suocero Giuseppe Speranza. Finirono così gli attentati e dalle mie aziende sparirono pure gli uomini dei clan Pesce e Bellocco di Rosarno che gli stavano intorno. La contropartita arrivò però dopo qualche mese quando Rocco Molè mi convocò in una sua villetta di Gioia Tauro e mi disse che dovevo occuparmi dello sdoganamento nel Porto di Gioia di alcuni container provenienti dalla Cina dove lui percepiva 45mila euro a container. Tale rapporto andò avanti sino al febbraio 2008 quando Rocco Molè venne ucciso a Gioia Tauro in un agguato”.
Rocco Molè
In precedenza vi era stato invece l’avvio delle trattive per l’acquisto di un lussuoso albergo, “Villa Vecchia” a Monte Porzio Catone (Roma), per la cifra di 18 milioni di euro con l’intromissione di Rocco Molè in un affare che in principio avrebbe dovuto gestire il solo Cosimo Virgiglio. “Le trattative le ho continuate da solo – ha ricordato Virgiglio – una volta che Rocco Molè è stato ucciso. Io sono stato cresimato dal suocero di Rocco Molè e per questo lui si fidava di me e non si faceva problemi ad incontrare altri mafiosi anche in mia presenza, come i Campennì di Nicotera o i Morabito di Africo. A Gioia Tauro ho conosciuto anche Rocco Delfino che era spesso da Rocco Molè ed era anche vicino a Nino Gangemi, esponente di spicco dei Piromalli-Molè. Ricordo inoltre che Molè aveva rapporti pure con un capitano dei carabinieri”.
Le punte della Stella della ‘ndrangheta
Cosimo Virgiglio ha quindi ricordato quelle che erano, secondo le sue conoscenze, le tre maggiori figure sul Tirreno nell’ambito della ‘ndrangheta. Pino Piromalli detto Facciazza, di Gioia Tauro, Nino Pesce detto Testuni, di Rosarno, e Luigi Mancuso di Limbadi erano i tre capi di tutta la ‘ndrangheta della zona. Erano le tre punte della Stella, una terminologia – ha ricordato il collaboratore – che mi venne spiegata anche da Rocco Molè il quale ricordava come tali tre famiglie erano quelle che avevano realizzato il porto di Gioia Tauro e quindi erano superiori a tutte le altre. Delle medesime Punte delle Stelle mi parlò anche i siciliano Pippo Di Giacomo, pure lui collaboratore di giustizia, nel corso di un comune periodo di detenzione.
I Lloyd’s di Londra ed i villaggi da acquistare nel Vibonese
Cosimo Virgiglio è quindi passato a parlare di un particolare affare: l’investimento da parte dei Lloyd’s di Londra della somma di cento milioni per acquistare dei villaggi turistici nel Vibonese. “Ricordo che per tale affare tramite Coluccio di Sellia Marina arrivò in Calabria pure Gianni Letta e venne interessata pure la loggia Ebert di San Mango d’Aquino. Io – ha spiegato il collaboratore – per favorire l’acquisto dei villaggi mi rivolsi a Rocco Molè il quale mi elencò una serie di villaggi nel Vibonese dove poter proporre l’affare: il villaggio La Pace dei Vecchio, il villaggio di Nicola Comerci a Parghelia, quello dei Condoluci, quello dei Bragò a Limbadi dove c’era il golf club, il Sayonara di Totuccio Ranieli. Visitammo tutti questi villaggi insieme ai Lloyd’s e tutti erano disposti a vendere.
L’investimento, però, dopo l’arresto di Rocco Molè saltò e venne effettuato a Scalea. Ricordo che Rocco Molè per tale affare si interfacciò con Giovanni Mancuso perché mi disse che in un modo o in un altro per un affare del genere sul territorio vibonese bisognava passare parola ai Mancuso. Lo stesso Giovanni Mancuso in altra occasione litigò Pino Speranza per degli assegni che erano andati a vuoto, mentre ho saputo che a gestirgli alcuni affari era il nipote Diego Mancuso, detto Addeco”.
Continua a leggere su IlVibonese