Il collaboratore di giustizia racconta in aula come sarebbe riuscito a comprare un appartamento di edilizia residenziale a Vibo e a farsi riconoscere la residenza dal Comune
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Consiglieri comunali e politici amici di Bartolomeo Arena e poi la storia di una casa popolare finita al futuro collaboratore di giustizia che già all’epoca non era – per sua stessa ammissione e per come attestano i precedenti penali – uno “stinco di santo”. La scomoda “fotografia” (sulla quale sono in corso le opportune verifiche da parte della Dda di Catanzaro) su uno spaccato di rapporti quanto mai attuali fra malandrini e politici arriva ancora una volta dalle deposizioni di Bartolomeo Arena nel maxiprocesso Rinascita-Scott.
E quella emersa nel corso del controesame da parte dell’avvocato Diego Brancia merita particolare attenzione perché tirano in ballo anche l’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci – imputato nel maxiprocesso – e l’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale Ugo Bellantoni (la cui posizione in Rinascita Scott è stata invece stralciata già all’atto della conclusione delle indagini preliminari).
«Da quello che ho saputo da Carmelo Pardea e da Vito Pitarosia per la posizione di Nesci che di Ugo Bellantoni – ha affermato Arena – mi dissero che erano entrambi dei massoni e che attualmente il Nesci era praticamente un uomo di fiducia del Bellantoni all’interno del Comune. Infatti quando ho parlato di quella casa popolare dove dovevo dimorare mi dissero che bisognava parlare con il capitano Nesci per non avere problemi.
Bellantoni – ha aggiunto il collaboratore – è un personaggio che ha lavorato per tantissimi anni all’Ufficio Tecnico presso il Comune di Vibo Valentia e parlando con questi altri soggetti, Carmelo Pardea, Vito Pitaro in particolare e Giuseppe Cutrullà, loro mi dissero che Filippo Nesci era in stretti rapporti con Ugo Bellantoni. In pratica – ha affermato Arena – quello che faceva prima Ugo Bellantoni al Comunedi Vibo, perché in pratica lo dirigeva lui a tutti gli effetti, attualmente la stessa posizione la rivestiva Nesci. Di Bellantonigià ne avevo sentito parlare tantissimi anni or sono, anche mio nonno diceva che lo conosceva bene e che aveva avuto a che fare con lui».
E’ a questo punto del racconto che il collaboratore introduce la storia della casa popolare nel quartiere Sant’Aloe, risalente una vicenda risalente al 2016.
«La casa l’avevo acquistata io, solo che la residenza spostai quella di mia sorella, perché io temevo che me la potessero prendere la casa. Era una casa popolare e quindi l’acquisto fu del tutto illecito.Prima vi dimorava Gaetano Comito» ovvero altro personaggio di Vibo gravato da numerosi precedenti penali e compare del boss Francesco Mancuso, detto “Tabacco”. «Gaetano Comito l’ha venduta a Domenico Tomaino, “Il lupo”, sempre in nero e poi io l’ho acquistata da Domenico Tomaino. Domenico “Il lupo” mi disse che la pagò 15.000 euro questa casa, io però a lui gli diedi una macchina in cambio.
Non essendo titolato io a stare in quella casa, temevo dei controlli perché in quel periodo si diceva che controllassero le case popolari proprio in virtù di questo fatto che molti se neimpossessavano abusivamente. Temevo che, dopo aver pagato la casa che stavo pure ristrutturando, me la potessero prendere o comunque mi potessero denunciare per occupazione abusiva. Allora – ha aggiunto Bartolomeo Arena – mi dissero che in tal caso poteva intercedere il comandante Nesci».
Stando al racconto del collaboratore, non si verificarono però problemi per la casa sul fronte dei controlli della polizia municipale, salvo il problema della residenza. «Per andare a fare la residenza – racconta Arena – volevano esibito il certificato di locazione e l’intestatario originale. Siccome non vi era questo contratto, si è dovuto attendere il momento utile in cui è cambiato il personale, diciamo il dirigente in quella fase dell’ufficio anagrafe. Infatti mi ricordo che mi chiamarono, mi hanno detto: “Quando ti chiamiamo devi scappare un attimo con tua sorella, così facciamo questo atto di residenza”». Gli altri impiegati dell’ufficio anagrafe del Comune di Vibo, stando a Bartolomeo Arena, si sarebbero infatti tirati indietro per attestare una residenza illecita in una casa popolare in via Sant’Aloe acquistata in nero. «Dicevano che era una cosa per la quale si poteva essere arrestati» trattandosi di una casa popolare senza contratto di locazione. Ecco così trovato lo stratagemma: redigere un documento in cui la sorella di Bartolomeo Arena «veniva presa come ospite nella residenza di Gaetano Comito».
«Quando sono andato al Comune di Vibo – ha raccontato Arena – mi hanno detto però quelli dell’ufficio anagrafe che per un documento di questi si poteva rischiare l’arresto. Perché non potevano certificare la firma del Comito mentre dichiarava che prendeva in casa mia sorella. Doveva risultare mia sorella perché io ero un soggetto pregiudicato e non avrei potuto avere quella casa. Mia sorella è invece un soggetto che percepisce una pensione di invalidità e mi consigliarono di dare la residenza a mia sorella perché era in una categoria protetta».
La casa è quindi finita di fatto a Bartolomeo Arena e qualcuno avrebbe garantito che non ci sarebbero stati problemi. «Mi dissero in pratica che se la sarebbero vista loro al Comune e quando parlo di Comune parlo di politici. Appena abbiamo ottenuto la residenza – aggiunge Arena – mi hanno detto che non ci sarebbero stati problemi, di stare tranquillo. Anzi ero già in contatto con altre persone del Comune che mi avrebbero quanto meno non dico azzerato, ma diminuito tutti i debiti, perché in questa casa c’erano debiti già dai familiari di Comito e siccome c’era un mio amico che all’epoca si occupava proprio, non so come si chiama, dell’economato, una cosa del genere, mi avrebbe detto che piano piano sistemavamo anche questi conti che c’erano, così la casa me la potevo comprare direttamente per una spesa… cioè per un prezzo irrisorio, che all’epoca mi pare che fosse attorno ai 18 – 19.000 euro e diventavo il possessore, il possessore vero e autentico».
Domanda dell’avvocato Diego Brancia: «Può riferire al Tribunale il nome di questo amico dell’economato con cui parlò»? Risposta del collaboratore Arena: «Allora, in questa fase quelli che si misero a disposizione sono stati Giuseppe Cutrullà e l’avvocato Stefano Luciano». In ordine invece all’amico dell’Economato, di cui Arena non ha fatto il nome, ha aggiunto: «Giuseppe Cutrullà andò da lui e gli disse se potevamo sistemare la questione di questi debiti alla casa popolare e gli fece il nome mio, siccome io con Stefano Luciano ho un rapporto di amicizia risalente alla fine degli anni ottanta, inizi novanta, perché frequentavamo la stessa spiaggia, avevamo le case al mare vicino e quindi lui si dimostrò…si dimostrò diciamo disponibile nell’aiutarmi in questa cosa. Giuseppe Cutrullà è venuto diverse volte a casa mia e ci siamo incontrati pure presso il Comune. Poi per altre questioni con Giuseppe Cutrullà ci vedevamo per Vibo. Cutrullà era quello che mi doveva fare avere la residenza, perché con quella carta (di Gaetano Comito, ndr) il Comune la residenza non me la faceva.
Così prosegue Bartolomeo Arena: «Quando è andato Cutrullà a parlare con un altro dipendente nessuno voleva tramite questa autocertificazione avviare la pratica di residenza, perché secondo loro era illegale, quindi poi mi disse Cutrullà: “Siccome c’è un amico a cui ho fatto un favore quando capita lui, perché dovrebbe capitare lui in qualche giornata all’ufficio anagrafe mi chiama subito, io ti chiamo e arrivi subito con tua sorella, firmi e te ne vai”. Così è stato, mi chiama un giorno questo verso mezzogiorno, credo fosse addirittura aprile, non mi ricordo il mese, mi disse: “Vieni subito che c’è questa persona e lui ce la fa questa residenza”, perché se no tutti gli altri dipendenti si erano rifiutati».
Giuseppe Cutrullà (attuale consigliere comunale di “Città Futura” a sostegno del sindaco Maria Limardo, nel 2016 consigliere comunale del Pd), Stefano Luciano (attuale capogruppo del Pd, all’epoca presidente del Consiglio comunale dopo il sostegno al sindaco Elio Costa) e Vito Pitaro (ex consigliere regionale con il centrodestra, non ricandidato nelle recenti elezioni e nel 2016 segretario particolare del consigliere regionale del Pd Michele Mirabello) non figurano fra gli indagati o imputati di Rinascita Scott.