Il collaboratore ha anche spiegato la nascita del locale di ‘ndrangheta di Piscopio, l’organizzazione del clan Lo Bianco a Vibo Valentia ed i rapporti con altri membri dei clan
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Inizieranno giorno 19 luglio le operazioni peritali relative alle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali agli atti dell’inchiesta Rinascita Scott. È quanto stabilito dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia dinanzi al quale è in corso il maxiprocesso. Si punta ad incrementare, in ogni caso, il numero dei periti attraverso nuove nomine al fine di accelerare le operazioni.
Il locale di ‘ndrangheta di Piscopio
Per quanto attiene invece l’udienza con al centro il controesame del collaboratore Andrea Mantella da parte dell’avvocato Alessandro Diddi, diversi sono stati i temi trattati, ad iniziare dalla nascita del locale di ‘ndrangheta di Piscopio. “Si tratta di un locale aperto a Piscopio – ha riferito il collaboratore – con il nulla osta di Franco D’Onofrio e dei Commisso di Siderno e della cui formazione è stata portata a conoscenza anche Mamma ‘Ndrangheta, cioè la struttura di San Luca che all’epoca faceva capo ai Pelle, detti Gambazza. Pure io ero stato invitato al matrimonio di Michele Fiorillo, detto Zarrillo, ma temendo qualche brutta sorpresa – ha raccontato Mantella – non ci sono andato. A tale matrimonio erano presenti grossi esponenti della ‘ndrangheta reggina. Parlai dell’apertura del locale di ‘ndrangheta di Piscopio con i Bonavota e con Pino Galati, quest’ultimo capo società di Piscopio. In precedenza a Piscopio era invece attivo un altro locale di ‘ndrangheta riconosciuto da San Luca, il cui capo era Ciccio D’Angelo, detto Ciccio Ammaculata, ed al vertice c’erano pure Fiore Giamborino e Domenico La Bella. Di tale locale di ‘ndrangheta facevano parte anche tutti i Giamborino che a Vibo si atteggiavano perché passeggiavano con personaggi importanti della massoneria fra cui un medico e anche con Ugo Bellantoni”.
La struttura mafiosa a Vibo Valentia
Andrea Mantella ha poi spiegato di non aver mai “costituito formalmente un locale di ‘ndrangheta”, ma di essere diventato un capo militare all’interno del clan Lo Bianco. “I capi del locale di ‘ndrangheta di Vibo Valentia sono sempre rimasti Carmelo Lo Bianco, Piccinni, Enzo Barba, Paolino Lo Bianco e Filippo Catania. Non me la sono sentita di ucciderli – ha dichiarato Mantella – e quindi si può dire che io formalmente non mi sono mai staccato dai Lo Bianco con i quali mi sono cresciuto. Io la vera scissione non l’ho fatta dai Lo Bianco, ma dai Mancuso. Quando ho costituito un mio gruppo, pur rimanendo all’interno del clan Lo Bianco, io non mi rapportavo con i ragazzi ma esclusivamente con mio cugino Salvatore Mantella e con Salvatore Morelli. Nel mio stesso locale di ‘ndrangheta dei Lo Bianco c’erano anche Antonio Lo Bianco e suo cugino Michele Lo Bianco, detto U Ciucciu, ma con loro non ho commesso reati specifici. Invece con Filippo Catania e Paolino Lo Bianco ci siamo scambiati qualche cliente sottoposto ad estorsione. È stato Filippo Catania – ha ricordato ancora il collaboratore – a darmi la dote di ‘ndrangheta del Trequartino. Francesco Bognanni era invece nipote di Raffaele Franzè, detto Lo Svizzero, ma io con Bognanni non mi sono mai rapportato, non sono mai sceso così in basso. Stessa cosa con i figli dei D’Andrea, detti Coscia d’Agneju. Io conoscevo solo Carmelo e Pino D’Andrea, ma non mi sono mai rapportato con i loro figli. Non conosco invece i vari Marco Ferraro, Luigi Federici, Filippo Orecchio e Daniele La Grotteria. Dedito all’usura era Salvatore Furlano, un fedelissimo di mio cugino Salvatore Mantella. Carmelo Chiarella è mio nipote, ma a differenza di Salvatore Furlano non aveva rapporti con Mario De Rito”.
Il declino dei Pardea e il sopravvento dei Lo Bianco
Nella deposizione di Andrea Mantella ha trovato spazio anche l’ascesa ed il declino dei Pardea di Vibo Valentia, detti “Ranisi”. Per come riferito dal collaboratore di giustizia, i Pardea avrebbero dominato negli anni ’60 e ’70 la scena mafiosa nella città di Vibo con Domenico Pardea, Saro Pardea e “Michele Pardea che è stato poi ucciso nel Casertano. Ciccio Pardea si è sposato con mia zia Vincenza Mantella ed è il fratellastro di Domenico Camillò. A prendere il sopravvento sul finire degli anni ’70 è stato il mio capo, Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni. Francesco Antonio Pardea faceva parte della famiglia dei Ranisi – ha ricordato Mantella – ma è entrato poi a far parte del mio gruppo, tanto che sono stato io stesso ad aggiustargli la copiata mafiosa all’interno della clinica Villa Verde quando lui è venuto a trovarmi mentre ero ai domiciliari. Le formule mafiose durante la cerimonia di Francesco Antonio Pardea sono state recitate da Salvatore Morelli ed io lasciai ad Antonio Pardea nella copiata i nomi di Carmelo Lo Bianco ed Enzo Barba”. Andrea Mantella si è quindi soffermato pure sull’attuale collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena. “Sapevo che si chiamava Vartolo ed era il figlio di Antonio Arena, era un ragazzo spigliato che si rapportava con i fratelli Pugliese e con i Pardea. Mommo Macrì, invece, era un mio fedelissimo e ricordo che si era innamorato di una ragazza dei Soriano e per questo si era collegato pure con loro”.
Il mancato ingresso nella massoneria
Infine il riferimento alla massoneria. “Nel 2012 – ha dichiarato Mantella – non sono riuscito ad entrare nella massoneria. Ero detenuto in carcere con il massone Domenico Macrì, ma non ho mai parlato personalmente con Ugo Bellantoni. Sono stati Carmelo Lo Bianco ed Enzo Barba a dirmi di recuperargli un orologio che gli era stato rubato al circolo dei nobili a Vibo nel corso di una rapina. Così ho fatto e sono riuscito a recuperare l’orologio di Bellantoni e l’ho dato a Carmelo Lo Bianco che era in rapporti con Bellantoni”.