VIDEO | Continua nell’aula bunker di Lamezia l’esame del collaboratore di giustizia, che traccia il profilo delle figure apicali del clan Bonavota e la storia “romantica” del patriarca Vincenzo
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«Loro avevano saputo che c’era un’indagine su di me e su mio zio Mimmo Camillò, che c’erano intercettazioni sul fatto che noi volevamo mettere a posto il locale di Vibo». “Loro”, spiega il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, sono «i Bonavota di Sant’Onofrio, che avevano qualcuno alla Dda che passava informazioni». Aggiunge: «Prima dalla Dda le cose uscivano, eccome se uscivano, poi, da quando è arrivato il procuratore Gratteri, la Dda è stata blindata e non è uscito più nulla. Quando mi riferisco alle notizie sulle indagini che pervenivano ai Bonavota, parlo questo periodo».
Francesco Fortuna
Riparte dalla foto segnaletica di Francesco Fortuna - «tiratore scelto dei Bonavota», lo aveva già definito l’ex padrino emergente e superpentito Andrea Mantella – l’esame di Arena, assistito dall’avvocato Giovanna Fronte, al maxiprocesso Rinascita Scott. La presunta bocca di fuoco santonofrese, conferma oggi il collaboratore di giustizia, era un «uomo di punta» e dopo l’omicidio di Domenico Di Leo, assassinato per sgombrare il campo dai rivali nell’area industriale di Maierato, «non dormiva più a casa», proprio perché il gruppo mafioso d’appartenenza sapeva delle investigazioni in corso del suo conto.
Il dichiarante, incalzato dal pm Andrea Mancuso, spiega che aveva ottimi rapporti con il potente clan di Sant’Onofrio e, in particolare, aveva un rapporto di comparaggio, in particolare, con Giuseppe Fortuna, fratello dello stesso Francesco: «È stato lui (Francesco Fortuna, ndr), assieme a Francesco Scrugli, ad eliminare Domenico Di Leo detto Micu ’i Catalanu. Lo appresi da Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli, che facevano parte del gruppo di Andrea Mantella, a quel tempo alleato ai Bonavota contro i Cracolici». Un astio che culminò prima con l’omicidio di Alfredo Cracolici, ordito dai Bonavota, poi in quello di Raffaele Cracolici, compiuto in cartello dai Bonavota e dal gruppo Mantella. Francesco Fortuna, continua Arena, sarebbe stato anche un killer che avrebbe agito in trasferta, nel contesto degli scambi di favori tra il clan di Sant’Onofrio e altre cosche calabresi: «So che fece un omicidio a Isola Capo Rizzuto, accompagnato da Salvatore Mantella. E poi a San Luca, perché i Bonavota erano alleati coi sanlucoti. Ho appreso questo sempre da Francesco Antonio Pardea».
Il prestito di killer tra clan – continua il pentito Arena – si chiama «scambio merci» e serviva a rinsaldare i rapporti tra le famiglie mafiose. Fortuna sarebbe stato un sicario di formidabile efficacia: «Era precisissimo con le armi e usava benissimo il kalashnikov». Ma sarebbe stato anche «molto attivo sia nel campo degli stupefacenti che in quello dell’usura».
Nicola Bonavota
A seguire, il pm Mancuso mostra ad Arena la foto di Nicola Bonavota: «Fratello di Pasquale, Domenico e Salvatore ed è una figura apicale del suo clan. So che lavorava soldi ad usura, era risaputo. Ma ho saputo anche che acquistava case a basso costo, le ristrutturava e poi le rivendeva. Quando c’era da prendere decisioni importanti, in primis sugli omicidi, lui era sicuramente al corrente». Il passaggio della deposizione, ed in particolare l’incalzare del pm Mancuso, registra l’opposizione dell’avvocato Tiziana Barillaro, difensore dello stesso Bonavota: «Parliamo di supposizioni. E non possono chiedersi supposizioni al collaboratore sulla scorta di informazioni apprese de relato». Si va, comunque, avanti. Arena parla del gemellaggio, anche mafioso, tra Sant’Onofrio e Carmagnola, in Piemonte, e delle infiltrazioni nei riti religiosi. «Nicola Bonavota portava la statua della Madonna, e questo, nelle manifestazioni religiose, ha un importante significato per la ‘ndrangheta. Lo so perché ho visto anche una fotografia nel suo bar».
Salvatore Bonavota
Foto segnaletica successiva, quella di Salvatore Bonavota: «Era il più piccolo dei fratelli, che negli ultimi anni, in seguito ai loro problemi giudiziari, aveva preso in mano gli affari della famiglia. Una volta – evidenzia Arena – gli chiesi anche una foto di suo padre, che io tenevo a casa sul caminetto. Credo fu visionata anche dai carabinieri durante una perquisizione». Sarebbe stato lo stesso Salvatore a gestire in prima persona, negli ultimi anni, sempre a detta del collaboratore, le estorsioni nella zona industriale di Maierato, dopo l’omicidio di Raffaele Cracolici: «Lì decidevano tutto loro, comprese le assunzioni. Questa è la situazione fino al momento della mia collaborazione. Se qualcuno voleva un posto di lavoro, in tutta la zona industriale, con i Bonavota dovevano parlare». Nonostante la carcerazione dei fratelli maggiori – aggiunge il collaboratore – il potere del clan dei santonofresi non fu scalfito, anzi si sarebbe consolidato, grazie al legame che si creò con «i Grande Aracri di Cutro, con quelli di Isola Capo Rizzuto. Mentre nel Reggino avevano stretti rapporti con gli Alvaro di Sinopoli, ma anche con i Piromalli.
L’ultimo vero ‘ndranghetista
Arena, peraltro, traccia un profilo romantico del padre dei fratelli oggi padroni di Sant’Onofrio: «Vincenzo Bonavota, era rispettatissimo dappertutto, dai Bellocco, gli Alvaro, i Piromalli, dappertutto». E ancora: «I Bonavota sono una famiglia all’antica. Se avevano dei nemici li affrontavano di petto a petto. Non fecero mai lupare bianche, tradimenti e traggiri e non avevano paura di nessuno». Vincenzo Bonavota, al quale lo stesso collaboratore a suo tempo chiese l’affiliazione, «le cose le affrontava di petto. Fu attaccato dalla famiglia Petrolo e si difese. Non sto giustificando, ma c’era una grande differenza tra lui e altri uomini della ‘ndrangheta. Io credo che fu l’ultimo vero ‘ndranghetista della vecchia guardia. Quando è deceduto io ero in carcere nel 1998 e sono stato molto dispiaciuto, era l’unica persona che reputavo onesta nell’ambito della criminalità organizzata. Una volta mi racconto che affrontò in strada Rosario Petrolo e gli prese la pistola. Poi con quella pistola andò a Stefanaconi, dagli uomini di Petrolo e gli disse “La vedete? Questa è la pistola del vostro capo”. Così dimostrò di non avere paura di nessuno. Io lo rispettavo e lo ammiravo molto».