Due degli arrestati dell’operazione “Rinascita-Scott” sono accomunati, oltre che dalle ipotesi delittuose prefigurate dalla Dda, anche dal fatto che sia l’uno che l’altro hanno contestato in Tribunale i servizi del nostro network.

Filippo Nesci e Alfredo Lo Bianco, rispettivamente comandante dei Vigili Urbani e consigliere comunale di Vibo Valentia, si erano lamentati per le nostre inchieste – sull’appalto per i parcheggi a pagamento in città e sullo scandalo delle salme seppellite senza bara nel cimitero – dimostrando una allergia verso la libertà di stampa che non gli ha portato fortuna.

Nel caso di Nesci, infatti, sia la Procura di Vibo che il Gip hanno archiviato la querela; nel caso del politico del Pd, a tentativo di conciliazione ancora in corso, la scoperta che lui oggi fa – ovvero di essere indagato per i rapporti con il fratello, titolare dell’impresa di pompe funebri attenzionata dai carabinieri dopo il nostro servizio – dovrebbe servire a risolvere ogni dubbio.

E se ne deve parlare di questa coincidenza anche per valorizzare l’appello che il procuratore Gratteri ha indirizzato ai giornalisti, chiedendoci di contribuire alla rivoluzione delle coscienze che si impone in Calabria.

Nesci si sentiva al sicuro tra gli uomini in divisa, ora dovrà rispondere di corruzione, dagli arresti domiciliari nella sua abitazione che sorge vicina a quel comando vigili lungamente attenzionato dagli investigatori, visto il ruolo di dirigente pluridecorato e inamovibile che il graduato si era creato negli anni.

Anche Lo Bianco, al quale si contesta il voto di scambio per favorire il clan che porta il suo cognome, non aveva gradito una nostra inchiesta.

Seguendo l’ultimo viaggio della salma di una migrante sbarcata al porto, pensavamo di raccontare la pietosa accoglienza dei vibonesi nel cimitero di Bivona, e invece scoprimmo quello che oggi la Dda imputa al consigliere del Pd, ovvero che avrebbe favorito le onoranze funebri del fratello – anche lui arrestato – che in almeno due casi si sarebbe fatto pagare delle bare in legno che invece non usava.

E su questo ignobile mercimonio, proprio per tenere accesi i riflettori sull’indagine nata da una nostra scoperta, avevamo pure sentito i vibonesi.

Lo Bianco non gradì l’accostamento del suo cognome a pratiche mafiose, ci stava per chiedere conto in Tribunale, ma l’operazione Rinascita-Scott annulla ogni pretestuosa richiesta.

Fare il proprio dovere di cronisti impone di scegliere da che parte stare, specie in una città dalle relazioni spesso opache come è Vibo Valentia.

A noi rimane la convinzione che aver inseguito la verità senza aspettarla; aver atteso i suoi protagonisti anche quando non si facevano trovare, può servire ad anticipare quella rivoluzione che chiede il procuratore Gratteri.