Il collaboratore di giustizia parla delle tensioni interne dopo la pubblicazione sui giornali dell'alleanza coi Piscopisani di Salvatore Cuturello per uccidere Pantaleone Mancuso. E rivela particolari sulla mentalità del clan secondo cui lavorare rappresentava una vergogna
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Ci sarebbe stato un vero e proprio “summit di ‘ndrangheta” fra le due diverse articolazioni del clan Mancuso facenti capo a Luigi Mancuso ed al nipote Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja. A svelarlo, Emanuele Mancuso che oggi ha continuato a deporre nel maxiprocesso Rinascita Scott. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, il collaboratore di giustizia ha messo in evidenza le fibrillazioni e le tensioni scoppiate all’interno della famiglia Mancuso in occasione della pubblicazione da parte della stampa di quanto emerso nell’ambito di alcune operazioni antimafia.
Il tradimento e le tensioni interne
“Siamo rimasti senza parole – ha ricordato Emanuele Mancuso – quando attraverso la stampa siamo venuti a conoscenza che Salvatore Cuturello, genero di Peppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, in quanto sposato con la figlia Francesca Mancuso, si sarebbe alleato con il clan dei Piscopisani per uccidere Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni. Nel progettato attentato contro Pantaleone Mancuso era coinvolto anche Totò Campisi, figlio di Mimmo Campisi, quest’ultimo ucciso. Ricordo che Salvatore Ascone – ha spiegato il collaboratore – mi disse che Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, che sta scontando 30 anni, quando uscirà dal carcere gli taglierà la testa al genero Salvatore Cuturello per il fatto di essersi alleato con i Piscopisani, cosca contrapposta ai Mancuso, per uccidere un parente. La notizia del tradimento di Salvatore Cuturello fece scalpore nella mia famiglia, a Limbadi ed a Nicotera, e mio zio Luigi Mancuso (in foto) cercò subito di mettere pace intervenendo direttamente. All’incontro-summit era presente anche Francesca Mancuso, moglie di Salvatore Cuturello”.
Gli incontri
Emanuele Mancuso si è poi soffermato sulle modalità degli incontri fra lo stesso e lo zio Luigi Mancuso per evitare di essere ripreso dalle telecamere della vicina stazione dei carabinieri di Limbadi. “Scavalcavo sempre il cancello – ha dichiarato Mancuso – per evitare di entrare con l’auto ed essere fermato dai carabinieri in quanto sia io che mio zio Luigi eravamo sorvegliati speciali e non potevamo vederci”. Quindi il riferimento a Giuseppe Rizzo, detto “Peppe mafia”, indicato quale autista di Luigi Mancuso e successivamente sostituito in tale ruolo da Giuseppe Mancuso, figlio di Giovanni Mancuso, quest’ultimo fratello maggiore di Luigi.
Emanuele Mancuso doveva passare per pazzo
Appresa la volontà di Emanuele Mancuso di collaborare con la giustizia, la famiglia avrebbe fatto di tutto per farlo recedere, inviandogli la compagna Nancy Chimirri a fargli visita. “Una volta, prima ancora che nascesse la bambina, la Chimirri mi portò in carcere durante il colloquio una maglietta con la scritta Baby bossper ricordarmi chi ero e da dove venivo. Quando ero detenuto nel carcere di Paliano ho ricevuto un bigliettino con i nomi di due avvocati del foro di Milano che la mia famiglia mi aveva detto di nominare affinchè loro provvedessero a farmi passare per pazzo, allo stesso modo di mio cugino Domenico Mancuso, figlio di Giuseppe, che per vent’anni ha preso in giro il Tribunale di Vibo facendosi passare per pazzo”.
I bigliettini nelle bottiglie dell’acqua
Ad impegnarsi in precedenza nel recupero dei bigliettini che Emanuele Mancuso avrebbe inserito nelle fasciature delle bottiglie di acqua per farli passare dal carcere all’esterno ci avrebbero pensato poi due ragazzi ritenuti molto vicini allo stesso Mancuso. “Si tratta di Mirco Furchì – ha spiegato il collaboratore – che era stato delegato a tale compito dalla mia compagna Nancy Chimirri, e di Daniele Cortese (in foto) il quale si occupava pure di narcotraffico, estorsioni, detenzioni di armi da guerra e di una bomba. All’epoca è stato anche arrestato”. Daniele Cortese è stato di recente di nuovo arrestato ed è figlio di un consigliere comunale di Capistrano a sua volta indagato (il consigliere) nell’operazione “Imponimento” della Dda di Catanzaro.
Per i Mancuso era una vergogna lavorare
A riprova della mentalità vigente nella famiglia Mancuso, Emanuele Mancuso ha poi raccontato un episodio che la dice lunga. “Anna Vardè era la compagna di mio fratello Giuseppe – ha dichiarato Emanuele – ed era stata assunta nella cooperativa Summer Time di Joppolo che si occupava della gestione dei migranti. Nella mia famiglia era una cosa disdicevole che un Mancuso o la ragazza di un Mancuso andasse a lavorare in quanto i Mancuso sono tutti pieni di soldi e non devono lavorare. Non era ben visto, quindi, che la ragazza di mio fratello andasse a lavorare e per di più con i migranti. Nella vicenda intervenne però mio zio Luigi Mancuso il quale disse che se la ragazza voleva lavorare non c’erano problemi e poteva lavorare, all’epoca mio fratello Giuseppe (in foto) era detenuto”.
Il traffico di droga e gli albanesi alla sagra di Spilinga
Secondo Emanuele Mancuso, anche i Commisso di Siderno per il traffico di cocaina si sarebbero rapportati con i Mancuso, mentre altro traffico di sostanze stupefacenti – questa volta marijuana – sarebbe stato messo in piedi da Peppone Accorinti insieme ai fratelli Navarra di Rombiolo. “Valerio Navarra operava nel traffico di marijuana attraverso una pizzeria a Montecatini, in Toscana. Pizzeria che era anche di Giuseppe Accorinti. Giuseppe Navarra gestiva invece il traffico di stupefacenti nel Vibonese e ricordo – ha spiegato Emanuele Mancuso – che per l’importazione della marijuana ha messo trentamila euro pure Salvatore Ascone. La marijuana venduta dagli albanesi costava 950 euro al chilo. Gli albanesi nel 2017 intrattenevano rapporti anche con Gregorio Niglia, tanto che io li incontrai pure alla sagra di Spilinga che si tiene in estate e gli feci la battuta di passare con me negli affari. Gli albanesi all’epoca erano ospiti di Accorinti e di Gregorio Niglia”.
Michele Fiorillo e la pistola puntata in testa ad un Mancuso
Altro episodio trattato da Emanuele Mancuso riguarda un “confronto” fra Domenico Mancuso, detto “The Red” (figlio di Diego Mancuso e cugino di Emanuele), Manuel Callà e lo stesso Emanuele Mancuso da un lato e Michele Fiorillo, alias Zarrillo, indicato quale elemento di spicco del clan dei Piscopisani, dall’altro. “Fiorillo tolse la pistola e la puntò alla testa di Domenico Mancuso. Successivamente per placare gli animi intervenne a Vibo Pino Barba, detto Pino Presa, compare di mio padre – ha ricordato il collaboratore – , il quale ci fece fare pace. Michele Fiorillo era arrabbiato con i Mancuso perché riteneva che Peppe Mancuso avesse fatto gambizzare in passato a Giuseppe Fiorillo, padre di Michele”.
L'eliminazione di Roberto Soriano
Infine, Emanuele Mancuso ha ribadito le modalità di eliminazione di Roberto Soriano di Filandari – ritenuto l’autore nel 1995 della sparatoria a Briatico contro Giuseppe Fiorillo e Saverio Razionale – ad opera di Giuseppe Accorinti (con Roberto Soriano legato, torturato e poi macinato sotto la fresa del trattore), per poi svelare tutti i timori della famiglia Mancuso per un possibile avvio di collaborazione con la giustizia da parte di due personaggi di peso della criminalità del Vibonese: Leone Soriano di Filandari (fratello di Roberto e tuttora detenuto) e Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi, quest’ultimo condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Saverio Carone e ritenuto uomo di primo piano del clan La Rosa di Tropea, consorteria storicamente alleata ai Mancuso. Collaborazioni con la giustizia di fatto mai avviate.
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