L'ex senatore di Forza Italia andrà a processo a Vibo saltando l’udienza preliminare. È accusato di concorso esterno in associazione mafiosa
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Si aprirà il 9 novembre prossimo dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia il processo nei confronti dell’avvocato del Foro di Catanzaro ed ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito della maxi-operazione antimafia denominata “Rinascita-Scott”, condotta sul campo dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.
È stata infatti accolta dal gup distrettuale del Tribunale di Catanzaro la richiesta di giudizio immediato avanzata dallo stesso Pittelli per andare subito a processo saltando l’udienza preliminare. A pesare sulla decisione di invocare il giudizio immediato potrebbero esserci state le condizioni di salute di Pittelli, attualmente rinchiuso nel carcere di Nuoro. Tre le istanze di scarcerazione sinora respinte.
La principale accusa mossa all’avvocato Giancarlo Pittelli è quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Pittelli è in particolare accusato di aver messo a disposizione dei clan del Vibonese, come i Mancuso di Limbadi e Nicotera ed i Razionale-Fiarè-Gasparro di San Gregorio d’Ippona, i suoi “canali” ed i suoi “agganci” per rafforzare il loro potere mafioso.
In particolare, l’avvocato Pittelli nella sua qualità «di avvocato e di massone – e, in quanto tale, di soggetto portatore di un rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale e del mondo imprenditoriale e delle professioni, caratterizzati da vincoli di fratellanza e reciproca riconoscenza – è indicato quale risolutore dei più svariati problemi dei clan «sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni o della pubblica amministrazione, in particolare delle forze dell’ordine, e, quindi, dalle illimitate possibilità di accesso a notizie riservate».
Si sarebbe creato, secondo l’accusa, una sorta di circolare rapporto “a tre” tra il politico/ professionista/faccendiere, l’operatore di impresa e la cosca mafiosa, in cui il primo ottiene e concede favori, in forza dei suoi legami con le istituzioni e la ndrangheta, fungendo da “cerniera” tra i due mondi, il secondo cresce o risolve problemi grazie all’influenza mafiosa ed alla politica collusa, e la terza rafforza il suo radicamento nel tessuto politico ed economico.