Regole mafiose, comparaggi e legami da una parte all’altra della Calabria. A svelarli il collaboratore di giustizia Franco Pino, ex boss dell’omonimo clan di Cosenza. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, Franco Pino ha spiegato di aver intrapreso la collaborazione con la giustizia nel 1995.

«Ho iniziato a delinquere negli anni ’70 a Cosenza, dedicandomi a rapine, estorsioni e contrabbando di sigarette. Tuttavia nel dicembre del 1977 gli equilibri criminali a Cosenza cambiano in quanto viene ucciso davanti al cinema Garden a Roges di Rende, Luigi Palermo, detto U Zorru, ritenuto sino a quel momento il capo della malavita locale. Da quel momento è scoppiata una guerra di mafia fra il mio gruppo, Pino-Sena, e i seguaci di Luigi Palermo. Io stesso sono stato arrestato per l’omicidio di U Zorru, mentre in precedenza – luglio 1978 – ho subito un agguato in Sila quale vendetta dopo la soppressione di Luigi Palermo. Il rimpiazzo nella ‘ndrangheta – ha spiegato il collaboratore – lo ottengo nel 1977 da gente di Cosenza che mi assegna il grado di camorrista. All’epoca ero vicino ai fratelli Curcio che erano ‘ndranghetisti e mi hanno dato insieme le doti di picciotto e camorrista. I Curcio erano seguaci del boss Antonio Sena».

Quindi la rottura del gruppo Sena con i fratelli Curcio, uno dei quali (Aldo) viene ucciso ed un altro (Sante) subisce un tentato omicidio. «Ho incontrato nel carcere di Cosenza Nino Gangemi di Gioia Tauro – ha spiegato Franco Pino – e fu lui a dirmi che non potevo portare nella mia copiata mafiosa il nome di Sante Curcio, cioè della stessa persona che mi aveva accusato facendomi finire in carcere pur essendo io solo presente al suo tentato omicidio. Sono stato così spogliato a livello mafioso delle precedenti doti ricevute e di nuovo rimpiazzato con il grado dello sgarro che mi è stato conferito dallo stesso Gangemi. Nella nuova copiata portavo i nomi di Nino Gangemi, Giuseppe Piromalli detto Mussu Stortu, Nino Pesce e Franco Muto.

Ho ricevuto poi il grado della Santa in carcere a Cosenza. In questo caso è stato il boss Umberto Bellocco di Rosarno a conferirmi tale grado unitamente a quelli successivi di Vangelo e Trequartino, portando in copiata lo stesso Umberto Bellocco, Antonio Sena e Franco Muto di Cetraro. Nel 1983 sono poi stato detenuto nel carcere di Palmi per il processo denominato “Mafia delle tre Province” nato dalle dichiarazioni del collaboratore Pino Scriva. Siccome proprio Pino Scriva aveva svelato i gradi nella ‘ndrangheta sino al Trequartino, Umberto Bellocco mi diede un nuovo grado creato per non essere conosciuto e rimanere riservato, quello di Diritto e Medaglione. Nel carcere di Palmi ero detenuto con i Bellocco, Giuseppe Pesce, Franco Muto di Cetraro, Luigi e Giuseppe Mancuso, tutti imputati nel processo alla c.d. Mafia delle tre Province».

Il summit per discutere la strategia stragista dei siciliani

È il 1992 quando Franco Pino incontra di nuovo il boss di Limbadi Luigi Mancuso. È un’occasione del tutto particolare perché i siciliani dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui sono morti i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avevano mandato attraverso Totò Riina l’invito ai mafiosi calabresi di unirsi a loro nella strategia stragista «colpendo in particolare – ha svelato Franco Pino – le caserme dei carabinieri in Calabria. Ricevuto l’invito per la riunione, io e il mio braccio-destro Umile Arturi ci siamo recati a Limbadi a casa di Luigi Mancuso ma qui abbiamo trovato un suo nipote che ci ha condotto a Nicotera Marina al villaggio Sayonara dove abbiamo incontrato Luigi Mancuso, Santo Carelli di Corigliano, Silvio Farao e Cataldo Marincola di Cirò, Nino Pesce di Rosarno, Franco Coco Trovato di Marcedusa ma residente in Lombardia e un De Stefano da Reggio Calabria. Ad illustrare la proposta dei siciliani sono stati Nino Pesce e Franco Coco Trovato. C’è stato un breve scambio di battute, ricordo che Luigi Mancuso non condivideva tale richiesta dei siciliani. Per parte mia e di Cosenza, io diedi adesione a ciò che avrebbero deciso i Piromalli, Nino Pesce e i Mancuso».
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