«Se guardo avanti, oggi vedo il futuro di una donna libera che deve ancora lottare ma che è pronta a tutto. Per me libertà è alzarmi al mattino, sollevare la tapparella e non avere più paura». Vede un futuro e racconta la sua storia, mettendoci tutto il suo cuore. Lei è una giovane donna, una madre che da vittima oggi è testimone determinata di un percorso doloroso e difficile ma possibile di liberazione dalla violenza. Arrivata in fuga con la sua bambina ha trovato l’aiuto di cui aveva bisogno presso centro antiviolenza Angela Morabito Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio Calabria.

«Grazie all'aiuto del Centro io e mia figlia siamo libere»

«Chiedevo che mi si porgesse una mano perché non riuscivo a rialzarmi. Di mani ne ho trovate tante. Non conoscevo la strada per uscire da quella situazione e ricominciare altrove con la mia bambina, ma qui al Centro sono stata affiancata nel cercarla e trovarla, con i miei tempi e i miei modi. Sono stata semplicemente invitata a venire qui per parlare, essere ascoltata e così farmi aiutare a riemergere. Quelle parole, quelle intenzioni, poi tradottesi in fatti concreti, non mi hanno solo rassicurato ma hanno salvato la vita mia e di mia figlia. Non smetterò mai di essere grata, innanzitutto alla mia amica, colei con la quale sono cresciuta, condividendo esperienze, viaggi e sogni e che mi ha aiutato a capire che avevo bisogno di aiuto e che qui lo avrei trovato. La mia gratitudine è anche rivolta a tutte le persone che lavorano qui ogni giorno, con sensibilità e professionalità, con passione e dedizione. Persone che ascoltano e non giudicano. Una donna non denuncia e, seppur ridotta in fin di vita torna dal suo carnefice, non perché sia pazza o perché lo scelga o perché se lo meriti. Bisogna capire cosa accade e che cosa si crea dentro una donna vittima di violenza, quei vuoti nell’anima che impediscono di capire dove andare dentro di sé più che dove andare come luogo fisico. Infine, ma solo perché le ho conosciute dopo, ringrazio le altre donne accolte qui, di cui ho ascoltato le storie e che adesso sento legate a me come sorelle. A tutte loro devo tantissimo», racconta.

«Oggi mi sento una donna più forte»

Un’esperienza che le ha fatto così gradualmente ritrovare forza e fiducia, che le ha fatto dono di un luogo sicuro per sé e per la sua piccola e di legami di sorellanza forti e importanti. «Oggi mi sento una donna forte che ha anche paura, perché essere forte non significa non avere paura, ma che sa che adesso può affrontarla. So che, qualsiasi cosa accada, questo Centro è la mia casa, come è casa anche per tutte le altre donne che qui sono state aiutate e accolte. Posso dire questo con convinzione perché ricordo la situazione difficile nella quale mi sono ritrovata quando sono scappata senza mutande, senza vestiti, senza tutto quello che ritenevo fosse la mia vita, e so quello che ho trovato qui dove è stato possibile iniziare a ricostruire tutto quello che era andato in pezzi. Non avevo neppure un elastico per i capelli ma qui non solo ne ho trovati tanti altri ma ho scoperto anche che avrei potuto tenere i capelli legati pure in altri modi. Questo per dire che qui ho visto la vita in modo diverso. Ho conosciuto persone, ascoltato le loro storie e scoperto una grande sorellanza, che non è solo di sangue ma può essere anche di cuore e di anima, quella che ti lega ad altre donne dalle quali ti senti profondamente compresa senza bisogno di parlare. Ho scoperto la forza della condivisione che sta arricchendo il mio nuovo percorso di vita».

«Denunciare è stato frutto di un percorso»

Così anche denunciare è stato un passo conquistato e compiuto da lei ma con loro al mio fianco.
«La denuncia per me è arrivata alla fine di un percorso. Una tappa che non era scontata, che dovevo a me stessa per tutto quello che avevo subito e sofferto e a mia figlia affinché non avesse mai motivo di nascondersi e potesse crescere libera e serena; una tappa alla quale sono arrivata quando sono diventata consapevole dei miei diritti. Questi unitamente ai miei doveri di madre e alla responsabilità che ne deriva, nonostante io fossi una vittima di violenza, e non di una sola ma di tante violenze, mi hanno spinta a tirare fuori tutto, a metterlo sul tavolo, bello o brutto che fosse. Non c’è altro modo per proteggere i figli», racconta ancora.

«La strada si apre camminando»

E dopo tanta sofferenza, adesso c’è anche il desiderio di mettere al servizio di altre donne la propria esperienza per generare coraggio e speranza.
«Non è facile ma si può uscire se si vuole davvero. Ci si può rialzare. È una questione di scelte. Ogni giorno possiamo decidere, anche quando ci sembra che sia impossibile, se respirare o restare dietro una maschera che ci toglie l’aria, relegandoci ad una vita divisa tra lavoro e casa che non ci rende felici e che dentro ci scuote reclamando libertà. Il segreto è non pensare ad un futuro troppo lontano, non spingersi troppo in là nel tempo ma concentrarsi su obiettivi vicini e compiere piccoli passi. La strada si aprirà da sé; la strada si apre camminando», conclude la giovane madre.