VIDEO | I congiunti del militare deceduto in servizio otto anni fa a Reggio Calabria si preparano ad una nuova battaglia legale: «Mio padre avrebbe meritato ben altro»
Tutti gli articoli di Cronaca
«Nel gennaio del 2020 il giudice del Lavoro di Reggio Calabria ha riconosciuto mio padre vittima del dovere. Un contenzioso tormentato e lungo quasi sei anni, al termine del quale abbiamo avuto giustizia. Anche se adesso c'è un altro punto interrogativo». A parlare è Antonino Fazio, dallo studio del padre lasciato così com'era con quei sigari a metà, figlio del colonnello dei Carabinieri Cosimo Fazio, stroncato da un infarto il 15 agosto 2013 mentre, nelle funzioni di comandante dei vigili urbani, assunte da poco più di dieci giorni, svolgeva servizio al porto di Reggio Calabria in occasione di uno sbarco.
Il contenzioso con il Ministero dell'Interno
Dopo due istanze presentate dalla famiglia, all’indomani della incolmabile perdita, per il riconoscimento di vittime del dovere e due rigetti del ministero dell’Interno, la famiglia Fazio si è ritrovata suo malgrado a dover adire le vie legali per vedere riconosciuti i propri diritti. Nonostante la sentenza del Giudice del Lavoro, che ha riconosciuto la moglie Giovanna Colella e i figli Antonino Carlo e Alessandra Fazio vittime del dovere, sia passata in giudicato nel settembre dello scorso anno, a distanza di quasi dieci mesi a nessun beneficio (sostegni economici di varia natura) correlato è stato ancora dato seguito. Il ministero dell’Interno resta inerte e nessuna informazione viene ancora oggi data ai familiari sul perché di questi ulteriori ritardi. Questo il preludio di un’altra faticosa battaglia legale. «Mi vedo costretto a tornare in tribunale e a introdurre un giudizio di ottemperanza nei confronti del Ministero. Un ulteriore passaggio che comporterà dispendio di altre energie, sotto ogni punto di vista», ha spiegato Antonino Fazio.
Prosegue, dunque, l’odissea della famiglia Fazio, a Reggio Calabria dal 1993, nata e cresciuta in un rispetto profondo delle Istituzioni e dell’Arma che il marito e padre Cosimo aveva sempre onorato, nonostante le amarezze e i dispiaceri che in oltre trent’anni di servizio non erano mancati.
L'appartenenza e la delusione
«Per quello che ha dato, soprattutto in questa terra, mio padre, riconosciuto dai tanti che hanno lavorato con lui come ufficiale di elevata caratura morale, avrebbe in vita meritato ben altro trattamento e non avrebbe meritato che noi familiari ci ritrovassimo a fare causa al Ministero. Anche se continuiamo a credere nell'Istituzione, non dimenticando il valore di tanti che ne fanno parte e che come mio padre l'hanno onorata e la onorano, siamo profondamente delusi. Il giorno in cui il feretro di mio padre fu portato dentro la sala polifunzionale, oggi alla sua memoria intitolata, della scuola Allievi Carabinieri, tra un elogio e l'altro, mi fu chiesto di mantenere riservate le vicende che avevano scandito i suoi oltre trent'anni di servizio e mi fu promesso che l'Arma ci sarebbe rimasta accanto. Ogni volta che lo ricordo, non capisco perché invece siamo stati lasciati soli in questi anni e perché, pur essendo nel giusto, siamo stati costretti a condurre una battaglia legale che non avremmo mai voluto intraprendere», ha sottolineato Antonino Fazio che, rompendo un silenzio durato otto anni, ha ricordato l’abnegazione del padre nel servire l’Arma.
Il legame con la divisa
«L'ha sempre servita senza risparmiarsi e l'esempio più importante io l'ho colto soprattutto quanto l'ha servita nel momento in cui più era addolorato per il modo in cui veniva trattato. In particolare mi ricordo di quando nel settembre del 2000 fu incaricato di andare a dirigere il Battaglione presso la scuola Allievi Carabinieri, lasciando per sempre l'attività investigativa delicata e rigorosa che stava conducendo presso la sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Reggio Calabria, in particolare al fianco del procuratore capo della Dda Salvatore Boemi, ancora nostro caro amico di famiglia. Mio padre non si era mai schierato e, in qualunque posto fosse stato mandato, aveva sempre operato al meglio. Credo che la sua indipendenza gli sia costata davvero tanto in termini di carriera», ha sottolineato il figlio Antonino Fazio.
«L'Arma, la nostra famiglia. Sempre»
Restano sentimenti di appartenenza assai radicati, difesi e mai rinnegati, rappresentati da encomi, cittadinanze onorarie, foto, cappelli e oggetti che richiamano l'Arma in ogni angolo di quella casa a Gallico Marina, acquistata perché Reggio Calabria era la città in cui si era deciso di restare, dopo tutti quei trasferimenti, tutti quei traslochi. Se li ricorda la moglie Giovanna Colella che da fidanzata e da moglie, con i figli anche piccoli, lo ha seguito sempre, che con lui ha condiviso i dispiaceri per incarichi onorati e poi tolti, per trasferimenti chiesti e negati, per avanzamenti di carriera meritati ma ostacolati. Un'appartenenza che, per questi e tanti altri motivi, fa i conti con il dolore, la delusione e l'amarezza. «L'Arma per me è la famiglia con la F maiuscola. I carabinieri sono stati per me amici, fratelli, figli. Per oltre trent'anni ho vissuto a stretto contatto con loro e questo legame per me è sempre stato sacro come lo era per mio marito. Ci ha deluso il comportamento di abbandono anche adesso che mio marito non c'è più. Abbiamo dovuto fare ricorso per essere riconosciute vittime del dovere e anche adesso quando cerchiamo di capire qualcosa, nessuno ascolta. Mi viene da chiedere il perché di tutto questo, cosa abbiamo fatto di male. Se abbiamo offeso qualcuno, chiediamo scusa ma qui noi dovremmo sentirci offesi», ha evidenziato la moglie del colonnello Fazio, Giovanna Colella.
Oltre trent'anni di servizio e di fedeltà
Con il grado di capitano, Cosimo Fazio, pugliese di nascita e palermitano di adozione, dalla località sarda di Villacidro arrivò nel 1982 a Taurianova quale Comandante della Compagnia Carabinieri. Qui prestò servizio per sei anni intensi e pericolosi, durante i quali diede prova delle sue capacità investigative e del suo valore in un frangente storico in cui a Cittanova e a Taurianova stessa, imperversavano le faide mafiose rispettivamente tra la famiglia Raso - Albanese e i Facchineri e tra Asciutto - Neri - Grinaldi e Zagari - Viola - Giovinazzo.
A Taurianova l'allora capitano Cosimo Fazio, coadiuvato da suoi sottufficiali, allora Brigadieri Mantineo, Vaccari e Papa, nel 1987 arrestò in flagranza di reato l’allora latitante Giuseppe Facchineri. In quel frangente ebbe anche ad occuparsi delle delicatissime indagini relative ai sequestratori di Stefano Pellegrino di Varapodio e di Fausta Rigoli e del figlio Rocco Lupini di Molochio.
Nel 1988 venne trasferito a Roma per assumere l'incarico di comandante della sezione del Reparto Operativo Carabinieri. Restò solo pochi anni lontano dalla Calabria dove nel 1991 ritornò con l'incarico di comandante della Compagnia Carabinieri di Catanzaro. Nel 1993 arrivò a Reggio Calabria, dove poi avrebbe vissuto, con l’incarico di responsabile della sezione Polizia Giudiziaria presso il Tribunale di Reggio Calabria.
Nel 1995 fu nominato capo sezione della DIA reggina e nel 1997 assunse l’incarico sempre a Reggio Calabria di comandante del Reparto Operativo Carabinieri. Nel 2000 avvenne la frattura profonda. Dovette lasciare l'attività investigativa perchè fu trasferito presso la scuola Allievi carabinieri di Reggio Calabria quale Comandante del Battaglione Allievi, per poi essere destinato fino al 2008 agli uffici del Comando Divisione di Messina e successivamente di nuovo alla scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria, con l'incarico di Insegnante. «Dal 2000, nonostante la pregevole e rigorosa attività investigativa fino ad allora svolta, non fu più destinato ad essa. Ebbe altri incarichi che comunque onorò, non senza soffrirne», ha ricordato il figlio Antonino. I primi giorni di agosto del 2013 all'incarico di insegnante presso la scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria, si aggiunsero le funzioni di Comandante reggino dei Vigili Urbani, svolgendo le quali, fu colto da malore fatale nel Ferragosto del 2013.