Il pentito Francesco “Checco” Labate, genero del boss Filippo Barreca, avrebbe fatto perdere le sue tracce dopo aver dichiarato di voler ritrattare tutte le accuse fatte nei verbali riempiti davanti ai magistrati della Dda di Reggio Calabria.

A darne notizia è il massmediologo Klaus Davi in una nota stampa che, da circa sei mesi sta conducendo un’inchiesta sulla presenza mafiosa nel cosiddetto “triangolo delle Bermuda” Pellaro-Bocale-Lazzaro focalizzata soprattutto sulle famiglie Malacrinò, Barreca e Iamonte.

Il fatto è deflagrato nella giornata di oggi, quando l’uomo – secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – avrebbe inviato un video alla moglie all’interno del quale spiega la sua scelta di non proseguire nel percorso di collaborazione con la giustizia.

La moglie, Luana Barreca, seppur ristretta agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta “Metameria”, comprendendo la delicatezza della vicenda, si sarebbe immediatamente rivolta ai carabinieri per denunciare quanto stava avvenendo, anche per tutelare l’incolumità del marito che, avendo lasciato la località protetta nella quale si trovava, non può per ora godere della tutela dello Stato.

Labate, secondo quanto appreso, avrebbe inviato anche una lettera al suocero, Filippo Barreca, per spiegare le ragioni di questa sua scelta che risiederebbero principalmente nella difficoltà di poter vedere i suoi figli. Nel video fatto recapitare alla moglie, Labate afferma di voler ritrattare tutto, di non avere più fiducia nello Stato e di sentirsi tradito.

Aggiunge che, quando lo prenderanno, sarà disposto a fare gli anni di carcere che gli saranno inflitti, certo che, comunque, sarà un periodo che prima o poi passerà e gli permetterà di tornare a stare insieme ai suoi figli. Nel video, secondo quanto trapela, appare il volto di un uomo piuttosto provato.
Sicuramente la scelta di tornare sui suoi passi deve aver prodotto un forte travaglio dentro Labate che, pure, è stato affidato ad una gestione di massimo livello. A raccogliere le sue dichiarazioni, infatti, sono stati due fra i più importanti pubblici ministeri della Dda di Reggio Calabria, ossia Stefano Musolino e Walter Ignazitto.

Di fatto una garanzia assoluta in termini di correttezza e rispetto delle leggi, nonché magistrati che hanno dimostrato di essere in grado di gestire anche collaboratori di giustizia parecchio delicati.
Rimane da capire innanzitutto dove sia andato Francesco Labate. È evidente che le forze di polizia sono già al lavoro per cercare di rintracciarlo al più presto. In primis per metterlo al riparo da possibili ritorsioni dopo le dichiarazioni rilasciate all’autorità giudiziaria. E in secondo luogo per comprendere quali siano gli intendimenti di quello che un tempo era il più stretto collaboratore del boss Filippo Barreca.

Chi è Francesco Labate

Labate viene ritenuto un partecipe della cosca Barreca che, dopo anni di silenzio, è tornata sulla scena criminale. Secondo i magistrati della Dda, Labate è uno degli ambasciatori di Barreca sul territorio reggino. Stando a quanto ricostruito dall’accusa, sarebbe stato deputato alla gestione della raccolta estorsiva, avrebbe effettuato sopralluoghi nel territorio per individuare i cantieri degli imprenditori da sottoporre ad estorsione, formulando richiesta di denaro in nome e per conto del capo del sodalizio, procedendo poi alla riscossione.

Non solo, Labate avrebbe anche perpetrato danneggiamenti ed intimidazioni nei confronti degli imprenditori e dei commerciali che non si adeguavano alle richieste della cosca. Dalle risultanze delle indagini, inoltre, avrebbe partecipato alle riunioni operative con gli accoscati e con i rappresentanti delle altre ‘ndrine della provincia reggina, nonché avrebbe accompagnato Filippo Barreca nei suoi spostamenti, offrendo supporto per eludere le prescrizioni della detenzione domiciliare.

Nello specifico, Francesco Labate, in diversi casi, si sarebbe fatto latore delle richieste estorsive della cosca Barreca nei confronti di imprenditori operanti nella zona di Pellaro, recandosi ripetutamente da costoro per ottenere le somme di denaro.

In un altro caso, anche nei riguardi dei titolari di un noto pub della zona di Pellaro. «Ci sono io che vedo – dichiarava nell’ottobre 2018 – non ti preoccupare, vedo e non mi sfugge niente». Così Francesco “Checco” Labate parlava con altri sodali, con riferimento alla sua posizione di “guardiano” degli interessi della cosca Barreca.

Il precedente

Già in passato era accaduto un fatto molto simile a quello avvenuto per Labate. Era il 3 giugno 2013 quando il pentito Nino Lo Giudice scomparve dalla località protetta nella quale si trovava, a pochi giorni dalla sua deposizione nel processo “Archi-Astrea”.

Si fece vivo solo attraverso dei video inviati a più destinatari, all’interno dei quali lanciava accuse contro i magistrati che lo avevano gestito e affermava di non sentirsi al sicuro. Una fuga durata solo pochi mesi, visto che nel novembre dello stesso anno venne arrestato dagli uomini della Squadra mobile allora diretti da Semeraro, insieme ai componenti dello Sco, sotto il coordinamento del procuratore Cafiero de Raho, oggi alla guida della procura antimafia.