«L’udienza è andata bene. Il giudice vuole approfondire e si è riservato di decidere dopo avere visionato le trascrizioni dei verbali dell’ultima udienza dello scorso 24 marzo, tra le quali anche quella del capitano della nave, che ha già patteggiato e che, come da attese, ha confermato quanto già dichiarato ossia che Marjan Jamali ha viaggiato come migrante insieme agli altri, senza svolgere attività riconducibili agli scafisti che invece erano altri, non perseguiti al momento dello sbarco, e adesso irreperibili. Ci siamo già attivati per richiederle e produrle al più presto e così accelerare la decisione. Sarà nostra cura produrre anche in questa sede la certificazione relativa al pagamento che Marjan ha eseguito per sè e per suo figlio a riprova della sua estraneità alle accusa di essere una scafista».
Così l’avvocato Giancarlo Liberati che sta difendendo la giovane iraniana Marjan Jamali, sbarcata a Roccella nell’ottobre 2023 con un figlio di otto anni, fuggendo da un contesto familiare e sociale di violenza,
Alla giovane è stata negata la revoca degli arresti domiciliari dal tribunale di Locri, dove è imputata insieme a Amir Babai, che aveva tentato di difendere la donna dagli abusi di altri tre migranti che poi si sono resi irreperibili. Da quasi dieci mesi, in seguito alla sostituzione della misura cautelare in carcere, Marjan è accolta a Camini all’interno nel progetto Sai gestito dalla cooperativa sociale Eurocoop servizi a r. l. (Jungi Mundu) con suo figlio.

«Oggi è stata presente e ha chiesto al giudice di capire perché, da innocente e invece vittima di molestie, debba continuare a portare il braccialetto elettronico e sottostare anche a controlli notturni senza poter vivere più serenamente con il figlio di otto anni, in attesa della sentenza che ormai si avvicina». Così ha proseguito l’avvocato Giancarlo Liberati che ha aggiunto: «Proprio stamane il tribunale di Locri ha rigettato la richiesta di modifica della misura. Nelle more del riesame, in occasione della scorsa udienza, avevo chiesto che la giovane potesse soggiacere all’obbligo di dimora piuttosto che ai domiciliari. Ad ogni modo, confidiamo adesso nella decisione del tribunale del Riesame che oggi ha chiesto le trascrizioni della scorsa udienza in cui con il capitano, testimone a favore della difesa, è stata anche sentita Marjan in qualità di imputata. In un italiano, che sta imparando bene e velocemente, ha ricostruito il suo viaggio proclamando la sua innocenza. Le circostanze da lei riferite hanno trovato in corso di dibattimento conferma nelle deposizioni dei testimoni. Ci sarebbe da aspettarsi che, a seguito della requisitoria, in occasione della prossima udienza in programma per il 18 maggio, il pm chieda l’assoluzione. Quanto emerso, specie nelle ultime due udienze, ha avvalorato l’impianto difensivo. In ogni caso il processo è ormai in dirittura di arrivo. Il prossimo 28 maggio le arringhe difensive alla quale seguirà la sentenza», ha concluso l’avvocato Giancarlo Liberati.

Oggi nell’androne del Cedir c’era anche il comitato Free Marjan Jamali che sta sostenendo la giovane anche in occasione delle udienze a Locri. Un sit-in con dei cartelloni tra i quali anche quello realizzato per l’occasione dall’artista di strada Laika in collaborazione con Amnesty International al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica. A sostenere la giovane, anche se non presente questa mattina, anche l’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi, assolta con formula piena a febbraio.

«Riteniamo l’incarcerazione di Marjan ingiusta perché migrare per cercare sicurezza e diritti non è un reato. Le normative in Italia si rivelano fallimentari e punitive per persone come Marjan, che da oltre un anno seguiamo nel processo, che pagano per responsabilità che non sono le loro perché i trafficanti sono altri e non sono in carcere. Poi l’ingiustizia nell’ingiustizia: migranti come Marjan lasciano il loro Paese per cercare protezione e invece, arrivando in Italia, trovano il carcere», così l’attivista del comitato Free Marjan Jamali, Giovanna Corigliano.

«Ci sembra assurdo che non si sia l’impegno a cercare prove per accertare davvero quali siano le condizioni di queste persone che arrivano rischiando la vita. La giovane Marjan è una giovane madre che ha portato via dall’Iran anche il figlio che, essendo divorziata, avrebbe dovuto lasciare con il marito. Secondo le leggi misogine della rigida teocrazia in Iran il piccolo non sarebbe stato affidato a lei in quanto donna, anche se madre. Da qui la scelta di andare via. La sua storia è paradigmatica delle ingiustizie che subiscono i migranti nel nostro Paese. E il pensiero va anche ad Amhed, di nazionalità egiziana, deceduto qualche giorno fa a Riace. Era stato condannato con l’accusa di essere uno scafista. È bene ricordare, che nel nostro Paese, per i migranti può essere prevista la detenzione amministrativa con tutto ciò che comporto vivere nei centri di permanenza per i rimpatri Cpr», così l’attivista del comitato Free Marjan Jamali, Rosalba Marotta.