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«È possibile affermare che la dottoressa Fallara è stata l’utile e spregiudicato strumento nelle mani di chi aveva tutto l’interesse a occultare le spese dell’ente fatte senza rispettare i meccanismi di bilancio, al fine di riscuotere consenso sociale a fini elettorali. (…) C’è conferma che l’ideatore delle falsificazioni contabili fosse il sindaco Scopelliti, il quale si è avvalso della accondiscendenza della dottoressa Fallara per attuare la sua linea politica travalicando e stravolgendo la netta separazione che dovrebbe essere demarcata tra livello politico e livello manageriale nelle pubbliche amministrazioni». Non usano mezzi termini i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria per motivare la dura condanna a cinque anni di reclusione per l’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, per l’ormai noto “Caso Fallara”.
Sono serviti pochi mesi ai giudici per motivare una sentenza che ricalca per buona parte quanto già contenuto in quella di primo grado. Del resto, gli elementi posti alla base sono i medesimi e poco c’era da aggiungere, posto che le nuove testimonianze non hanno spostato di una virgola il quadro probatorio.
Scopelliti, dunque, sarebbe stato l’ideatore delle falsificazioni del bilancio che ha portato ed un enorme buco nei conti di palazzo San Giorgio. Ed è per questo che i giudici parlano di un primo elemento «di eccezionale valenza probatoria», vale a dire «la palese alterazione per importi macroscopici dei bilanci del Comune di Reggio Calabria». Una situazione che Scopelliti conosceva perfettamente anche in virtù della «reiterata e pubblica protesta degli imprenditori e dei creditori del Comune, tanto frequenti da assumere una visibilità a tutto campo». Un quadro che porta la Corte a definire la responsabilità di Scopelliti formata da indizi «gravi, precisi e concordanti, che formano nel loro insieme la prova logica di tutti gli elementi costitutivi dei reati contestati allo stesso». Tutte le testimonianze sono servite solo ad acclarare un quadro che era già abbastanza noto anche grazie ai «continui e puntuali rilievi della Corte dei Conti sulla gestione dell'ente, ai quali facevano da cassa di risonanza le doverose proteste dei consiglieri comunali di minoranza nelle sedi istituzionali, degli imprenditori e poi dei dipendenti delle società partecipate e del comune, per i ritardi nei pagamenti dei loro stipendi».
Una situazione, quella di palazzo Sam Giorgio dove un ruolo da protagonista primario fu di Orsola Fallara, la dirigente al settore Finanze e Tributi, morta suicida nel dicembre 2010, dopo lo scoppio dello scandalo delle autoliquidazioni. Secondo i giudici, quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale prova come la donna fosse una sorta di assessore ombra del Comune, tanto che lo stesso Scopelliti, durante il suo esame, disse di aver chiamato la Fallara a guidare l’assessorato. Ma lei era una dirigente e non un assessore. «Di tale prevaricazione – dicono i giudici – vi è ampia dimostrazione nelle dichiarazioni degli assessori al bilancio, dei politici di opposizione e dello stesso teste Cuzzocrea, dalle quali si evince che tali figure istituzionali erano solo dei simulacri che avevano il compito di occupare un posto di funzione senza però esercitarne il relativo potere svolto, di contro, in modo penetrante e assolutistico dalla dottoressa Fallara». Una dirigente divenuta «il dominus dell’amministrazione grazie all’appoggio del sindaco», creando «un fil rouge che ha accompagnato tutta la sua gestione politico-amministrativa, ossia la sovrastante presenza della dottoressa Fallara, voluta dall'ex sindaco Scopelliti e mantenuta nell'incarico da quest'ultimo, intuitu personae, nonostante i comportamenti ostruzionistici della stessa nei confronti di tutti i dirigenti e degli assessori al bilancio e nonostante i chiari segnali di dissesto del Comune».
Insomma, per la Corte d’Appello «l’istruttoria dibattimentale dimostra che la dottoressa Fallara era lo schermo dietro il quale agiva il sindaco Scopelliti che aveva voluto fortemente la stessa quale dirigente di un settore strategico, dandole la possibilità di portare avanti, nel dissenso di buona parte dell’amministrazione, la linea politica da lui perseguita. Di questo rapporto di adesione/subalternità sono prova, ad esempio, i finanziamento ad istituti religiosi, concessi senza rispettare i principi di imparzialità e di trasparenza, su input del sindaco che trasmetteva le richieste mediante una sigla e l’indicazione dell’importo sulle stesse, immediatamente e scrupolosamente recepite ed eseguite dalla dottoressa Fallara». I giudici vanno giù duro: «Quest’ultima era una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal sindaco Scopelliti che, tramite lei, aveva creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo. Ed il sindaco la ricompensava con lauti incarichi (in particolare, quelli di rappresentanza dell’ente davanti alle commissioni tributarie). Il tutto ovviamente blindando il loro operato impedendo ai dirigenti ed alle opposizioni di accedere al bilancio analitico, rimuovendo gli assessori riottosi o utilizzando la “distrazione” di alcuni di costoro».
E la difesa di Scopelliti? I giudici sono netti: «Non è credibile che il sindaco di un Comune di circa 200.000 abitanti abbia lasciato il bilancio, ovverosia lo strumento principale per attuare le scelte politiche e per andare incontro alle esigenze degli elettori, nelle mani della dirigente del settore, sia perché vi è in atti la prova del contrario, ovverosia che è stato proprio per garantire le finalità dell'uomo politico che la Fallara ha alterato i dati di bilancio fornendo una rappresentazione diversa da quella effettiva».
Non va meglio per i revisori dei conti: «Dalle risultanze processuali è emerso che i revisori non hanno svolto i compiti loro assegnati dalla legge, salvo qualche timido parere sui bilanci inoltrato al Consiglio comunale, quasi sempre in limine, poco prima dell’inizio della discussione assembleare, qualche verifica di cassa e alcune controdeduzioni ai rilievi della Corte dei Conti assolutamente insoddisfacenti». Per i giudici «appare evidente la complessità delle funzioni dei revisori che, infatti, devono essere affidate a professionisti particolarmente esperti nel settore della contabilità, di modo che qualunque disfunzione sia messa in luce e risolta. Nel caso di specie, ciò non è avvenuto in quanto la dottoressa Fallara alterava i dati contabili dell’ente, adottando tecniche percepibili dai revisori contabili che erano preposti ai controlli di rito. Costoro avevano tutti gli strumenti per effettuare le dovute verifiche. (…) I revisori avrebbero potuto accorgersi di quanto i consulenti del pm hanno accertato agevolmente una volta letti gli atti; avrebbero potuto e dovuto intervenire, nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali per impedire che la dottoressa Fallara redigesse i bilanci in spregio alle più elementari regole di contabilità pubblica e avrebbero dovuto denunciare quanto accaduto».
Consolato Minniti