Rifiuti edili, plastica e frammenti di amianto. Tutto veniva interrato nel cantiere che avrebbe dovuto portare alla costruzione delle aste sul torrente S. Agata. Anche quei materiali che, come l’amianto, avrebbero dovuto avere uno smaltimento ben diverso rispetto ad un mero interramento. Sono queste le accuse mosse nei confronti di diverse persone indagate nell’ambito dell’inchiesta “Mercato libero”. Anche se, in questo caso, occorre fare una netta differenziazione fra quanto ipotizzato dalla Procura di Reggio Calabria e quanto, invece, valutato dal gip.

I tre tecnici comunali indagati e gli altri iscritti

Nell’elenco delle persone sottoposte ad indagini compaiono anche tre dipendenti dell’ufficio tecnico del Comune di Reggio Calabria. Si tratta di Giuseppe Beatino, Domenico Scalo e Lorenzo Benestare. Ma quali sono le accuse mosse a loro carico dalla Dda? Sono tre i capi d’imputazione che riguardano in modo preciso i lavori effettuati sulle bretelle del S. Agata.

Sotto inchiesta sono finiti Leandro Azzarà, Antonino Battaglia, Vincenzo Cuzzola, Silvio Mangiola e Maria Pia Megale (nella loro qualità di ispettori di cantiere); poi ancora Giuseppe Beatino quale direttore dei Lavori/coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione; Domenico Scalo, quale responsabile unico del procedimento; Lorenzo Benestare quale collaudatore in corso d’opera dei medesimi lavori. Oltre a loro risultano indagati anche Lucio Parisi, Vincenzo Parisi e Francesco Parisi, nella loro qualità di legale rappresentante, direttore tecnico e gestore di fatto della società Pa.E.Co. srl che ha eseguito i lavori; Vito Cocchiarale, in qualità di dipendente (responsabile di cantiere della società Pa.E.Co. srl); Pasquale Tortorelli, quale dipendente della società; Francesco Tamburrino, quale dipendente della società R. F. Costruzioni srl; Pasquale Frumento, quale dipendente della società Valbasento Lavori srl; Paolo Padoan, quale collaboratore di fatto della società Pa.E.Co. srl.

Le accuse della Procura

Secondo i magistrati gli indagati, a vario titolo, avrebbero gestito abusivamente, movimentando e frammentando ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi quali l’amianto, nonché occultandoli mediante interramento all’interno dell’area di cantiere sito nell’alveo del torrente Sant’Agata. Il tutto al fine di conseguire un ingiusto profitto, da qualificarsi anche quale risparmio di spesa per la rimozione e smaltimento dei rifiuti con conferimento in discarica e bonifica del sito pari a circa 13 milioni di euro.

Nell’elenco degli indaganti compaiono pure Egidio e Francesco La Valle, quali amministratori della Eco. Fal. Snc, Vincenzo La Valle e Antonio Crea, quali dipendenti della Eco. Fal snc e Marco Tortorelli, quale dipendente della Pa.E.Co. srl. Costoro avrebbero, secondo la Procura, avrebbero attestato essere stati trasportati e smaltiti i rifiuti speciali mediante conferimento presso l’impianto di destinazione della Eco. Fal. Snc, attraverso la falsa compilazione di formulari di identificazione rifiuto, che ne attestavano il trasporto fuori dall’area di cantiere e verso il sito di conferimento.

I tre tecnici del Comune, invece, avrebbero consentito (Beatino e Scalo anche ordinato) la «prosecuzione dei lavori, che anzi sollecitavano nel loro rapido svolgimento, omettendo di esercitare il controllo sulle operazioni di cantierizzazione illecitamente perpetrate dalla società Pa.E.Co. srl e non assumendo le doverose determinazioni di sospensione dei lavori anche a tutela della salute pubblica o, comunque, per quanto attiene Benestare, di segnalare lo stato del cantiere, che addirittura propone la variante migliorativa dell’innalzamento del livello del piano strada».

Attività che sarebbe stata effettuata al fine di ottenere la retribuzione a loro riconosciuta per le prestazioni professionali svolte, somme non versare e che sarebbero state accreditate al termine della fase di competenza. Un profitto, insomma, che i tre tecnici avrebbero visto riconosciuto solo nel caso di avanzamento e completamento dell’opera. Ma secondo la Procura, anche per accreditarsi con i pubblici amministratori e dirigenti di settore, quali tecnici capaci e non rendersi colpevoli di aver interrotto la realizzazione di un’opera strategicamente fondamentale per l’amministrazione comunale.

Per gli ispettori, invece, viene contestato il mancato controllo sul cantiere.

Ma la Procura non si ferma qui. Contesta agli indagati anche il reato grave di disastro ambientale, con alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa; l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi e per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Ulteriore contestazione, da porre in alternativa con quella di disastro ambientale, è quella di inquinamento ambientale, meno grave, che comporta una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili di porzioni estese di suolo e sottosuolo.

Da ultimo, viene contestata illecita gestione dei rifiuti, con un’attività di raccolta e smaltimento, mediante occultamento e interramento all’interno dell’area di cantiere per la realizzazione delle golene sul torrente Sant’Agata, di una ingente quantità di rifiuti pericolosi e non, in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione o comunque in totale stravolgimento e violazione della stessa. Inoltre, ai tecnici comunali ed agli ispettori di cantiere viene contestato il reato di abuso d’ufficio. Mentre al solo Beatino anche l’accusa di non aver sospeso, essendovi pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni, anche dopo aver saputo della presenza di amianto.

Il gip: nessun disastro ambientale

Ma, a fronte di una contestazione così grave da parte della Procura, il gip non ha ritenuto di aderire a tale lettura dei fatti, motivando nell’ordinanza la sua diversa opinione, non ravvisando la gravità indiziaria necessaria. Ora, stando all’assunto accusatorio, gli indagati avrebbero posto in essere un’organizzazione volta al traffico di rifiuti, con i vertici Pa.E.Co. che sarebbero stati gli organizzatori, avvalendosi di amministratori e dipendenti della Eco. Fal. Snc, con la compiacenza di funzionari pubblici, che avrebbero fatto proseguire i lavori, anziché sospenderli ed attuare le procedure previste dalla normativa.

A giudizio del gip, pur condividendo la parte riguardante l’abusività della gestione dei rifiuti, non vi è prova di una attività continuativa organizzata, tale da fare presumere l’esistenza di questa organizzazione. «Nel caso di specie – scrive il gip – si è in presenza di una realtà imprenditoriale, operativa nel settore delle costruzioni edili civili ed industriali, con particolare specializzazione nella realizzazione di infrastrutture stradali ed edili, che soltanto occasionalmente si è ritrovata a gestire una notevole quantità di rifiuti, pericolosi e non, già presenti e rinvenuti nell’area di cantiere, al momento dell’esecuzione dei lavori».

Ma anche sul fronte del disastro o dell’inquinamento ambientale, il gip esprime le proprie perplessità: «Affinché sussista il disastro ambientale è necessaria la dimostrazione dell’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema, ovvero la compromissione di una componente ambientale talmente estesa, o, comunque, coinvolgente un numero di persone offese o esposte a pericolo così elevato da determinate un’offesa alla pubblica incolumità. Ai fini dell’inquinamento ambientale, invece occorre provare la compromissione o il deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese e significative del suolo o del sottosuolo, ovvero di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna».

Ed invece, a giudizio del gip, dalla perizia disposta dalla Procura «non risulta alcuna alterazione dell’equilibrio di un ecosistema, né la compromissione di una componente ambientale di estensione tale da rientrare nei parametri richiesti» dal reato contestato. Ma non solo: neppure sul punto dell’inquinamento ambientale vi è accordo con il pm. «In nessun punto si segnala – scrive il gip – la compromissione o il deterioramento significativo delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative di suolo o del sottosuolo». Insomma, il pm «non ha sufficientemente specificato in che termini la condotta addebitata agli indagati abbia contribuito a ingenerare (o aggravare)» un deterioramento già esistente almeno dal 2007, «in termini che siano concretamente misurabili» e «non soltanto fondati su presunzioni».

Da ultimo, invece, il gip ritiene corretta l’incriminazione per abusiva gestione, mediante occultamento nel terreno, dei «rifiuti rinvenuti nell’area di cantiere e già ivi presenti da anni, il che ha impedito che la questione rifiuti venisse in risalto e si procedesse alle operazioni di bonifica del sito, previa sospensione dei lavori, bonifica che, peraltro, nemmeno poteva pretendersi dall’impresa Pa.E.Co. srl, spettando piuttosto all’amministrazione comunale». Il gip ha rigettato anche la richiesta di sequestro tanto della Pa.E.Co. srl che della Eco. Fal. Snc, non ritenendo vi siano elementi tali da portare al sequestro delle succitate aziende, avendo – soprattutto la Eco.Fal. un ruolo del tutto marginale nella vicenda.