«Abbiamo inviato istanza di rinnovo con una prima pec nel 2019, prima della scadenza dell'assegnazione che sarebbe stata ad aprile 2020, poi abbiamo inviato un sollecito e a seguire, in tre anni, altre dieci pec, ma il Comune non ci ha mai risposto. Chiediamo di conoscere le intenzioni relativamente a questo bene confiscato che abbiamo gestito per nove anni senza fondi pubblici e che adesso necessita di una ristrutturazione ormai indifferibile che da soli non possiamo sostenere». Così Elvira Calluso, socia dell'associazione culturale Magnolia di Reggio Calabria, assegnataria con GaStretto nel 2011, di un bene confiscato in contrada Gagliardi ad Arangea, quartiere a Sud della periferia reggina, descrive i tentativi di interlocuzione con l'amministrazione comunale.

In tre anni, nessuna risposta dal Comune

Chiede di essere ascoltata l'associazione che ha investito circa seimila euro, derivanti da donazioni e attività di autofinanziamento, per rendere l'ex officina, assegnata insieme a metà del piano superiore (dove si era iniziato ad allestire una sala prove per giovani musicisti) e consegnata ancora piena di rottami, uno spazio sicuro e accogliente, sede del laboratorio Radici, luogo di incontro e fucina di iniziative di carattere sociale, culturale e ambientale. «Non riteniamo giusto che invece di praticare con le azioni il riutilizzo sociale dei beni confiscati, si lasci che gli immobili crollino senza intervenire», ha spiegato ancora Elvira Calluso.

«La pandemia ha aggravato la situazione di degrado strutturale dell'immobile, risalente agli anni Settanta. Molte criticità, tanto all'esterno quanto all'interno, erano già presenti al momento della consegna nel 2011, ma adesso la situazione è peggiorata. Vorremmo soltanto capire che ne sarà di questa esperienza di riutilizzo sociale e di questo luogo, di cui ci siamo presi cura in questi nove anni e che abbiamo sempre ritenuto come patrimonio non nostro ma della cittadinanza, e dove la nostra associazione potrà proseguire le attività», ha sottolineato Rossana Melito, presidente dell'associazione culturale Magnolia.

Tari di oltre 3600 euro

Mentre il Comune non risponde sul rinnovo della concessione, la società che si occupa dei servizi di riscossione Hermes invece pretende il pagamento di oltre tremilaseicento euro di Tari, per un bene confiscato inattivo da due anni e che, per altro, dal 2020 non risulta neppure più a loro assegnato.
«Al momento di presa in carico ci siamo occupati ovviamente di attivare tutte le assicurazioni e le utenze necessarie, pagando le bollette sempre autofinanziandoci. La Tari che, però, adesso ci chiede di pagare il Comune di Reggio è errata e sproporzionata. Abbiamo già evidenziato presso gli uffici competenti che pagheremo solo quanto ci spetta fino ad aprile 2020, termine di scadenza della concessione che, ad oggi, non abbiamo avuto ancora rinnovata», ha spiegato ancora Rossana Melito, presidente dell'associazione culturale Magnolia.

Necessari interventi strutturali 

«La situazione di pericolo e degrado strutturale di oggi era già annunciata quando il bene ci è stato consegnato. Era un deposito di vecchi rottami che abbiamo dovuto sgomberare, prima di imbiancare e realizzare un impianto elettrico, che poi avrebbe necessitato di altri lavori, e anche una tettoia provvisoria, per contenere le continue infiltrazioni causate dalle facciate frontale e laterale mai completate e dalla terrazza danneggiata già dal 2011. Tutto sulle nostre spalle, nonostante al momento della consegna ci fosse stato promesso altro. Adesso servirebbero dei lavori strutturali più importanti. Non si dovrebbero consegnare beni nelle condizioni in cui lo abbiamo ricevuto noi. Allora abbiamo accolto la sfida, convinti che nel corso del tempo il nostro impegno avrebbe chiamato anche l'impegno delle Istituzioni che invece sono rimaste inerti e oggi sono anche sorde», ha spiegato Antonello Cicciù, socio dell'associazione culturale Magnolia di Reggio Calabria.

«Ad ogni pec abbiamo allegato tutta la documentazione attestante la necessità di monitoraggio del bene e di interventi di manutenzione straordinaria. Sono venuti due tecnici del Comune per eseguire un sopralluogo dopo il quale, però, di alcuna relazione tecnica abbiamo avuto notizia, mentre il settore Patrimonio cambiava repentinamente dirigente. Nessun riscontro nonostante l'impegno della dottoressa Ketty Spinelli, il nostro riferimento all'interno dell'Ufficio. L'unica questione accennata era stata quella della necessità di un contratto, che in realtà avrebbe dovuto essere sottoscritto fin dal principio. Requisito che, se il Comune si fosse attivato, avremmo sanato immediatamente. Ma nessuno ci ha mai convocato», ha spiegato ancora Elvira Calluso, socia dell'associazione culturale Magnolia.

Legalità non sempre chiama Giustizia

Il rischio non è solo quello di privare un'associazione attiva e virtuosa di una sede ma soprattutto quello di disperdere un'esperienza di comunità in un quartiere periferico isolato e in un bene confiscato concretamente restituito alla collettività in termini di opportunità di aggregazione culturale e sociale. Un esempio virtuoso pienamente aderente allo spirito della legge 109 del 1996 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, con il limite di non aver potuto contare su alcun supporto istituzionale e di aver avuto in consegna un bene neppure libero. Un riutilizzo sociale riuscito, nonostante tutto. Un aspetto, tutt'altro che secondario, visto che nella maggior parte dei casi, le associazioni di volontariato non riescono, come invece hanno fatto i soci e le socie di Magnolia rimboccandosi le maniche e sobbarcandosi le spese, a rendere il bene confiscato fruibile e aperto alla comunità.

«Ci amareggia questo comportamento dell'Amministrazione comunale nei nostri confronti, nonostante il nostro impegno profuso per rendere fruibile un bene che rientra nel suo stesso patrimonio e dalla significativa valenza sociale. Ci attendiamo almeno una risposta scritta con le motivazioni e chiarezza circa il futuro di questo immobile che, dopo tutti i sacrifici e le energie spese, ci dispiacerebbe lasciare. Restiamo disponibili ad un'interlocuzione. Certo, senza interventi di messa in sicurezza e agibilità che non possiamo sobbarcarci, nostro malgrado dovremmo fermarci, sperando che possa esserci comunque un dopo, in termini di attività sociale e culturale, seppure senza di noi. Purtroppo, con grande dispiacere, dobbiamo ammettere che la legalità che abbiamo sempre praticato e che abbiamo sempre difeso, al punto di avere gestito un bene confiscato affrontando e superando mille ostacoli, non sempre chiama giustizia», ha concluso Elvira Calluso, socia dell'associazione culturale Magnolia.